Achille Passi: un ricordo inedito della Liberazione di Venezia
Inoltro con molto piacere una piccolissima pagina di storia italiana, ritrovata a Venezia tra le carte di mio padre Achille Passi (1924-2003) nel settembre del 2008, senza intestazione, scritta a matita su un block-notes senza righe con fogli a strappo, compilato su 6 fogli (la maggior parte del blocchetto era stata già usata e non si è conservata). Nella trascrizione mi sono permesso qualche ritocco alla punteggiatura e alla divisione in paragrafi. Qualche incertezza permane su alcuni nomi propri. I fogli sono indicati con numeri tra parentesi quadre in grassetto all’incipit. Si noti che il manoscritto (di lettura non agevole perché sbiadito) è stato corretto dall’autore, soprattutto nell’uso dei tempi verbali, ma non in modo uniforme, tanto che rimane qua e là qualche piccola incongruenza sintattica. Il racconto collima più o meno con i pochissimi resoconti orali — incompleti ma più ricchi di particolari — uditi direttamente dal sottoscritto molto tempo fa. Sono state aggiunte alcune indicazioni fra parentesi quadre e pochissime note. Mancano notizie su alcuni personaggi.
Alessandro Passi
[1] Dopo mesi e mesi di lavoro prudente, sotterraneo, segreto con l’ansia di nascondere il nostro operato anche alle persone più care, son venuti ora finalmente i giorni della azione. Son venuti i giorni desiderati e anche son passati e già cominciano a far pare del mondo bello dei ricordi. Prima che la memoria impallidisca la realtà o che la fantasia arrotondi il racconto dei fatti come sono veramente svisi la verità, sarà bene buttar giù un resoconto degli avvenimenti di ciò che è avvenuto.
Ero da qualche giorno instabile in Prefettura perché il 2 maggio dovevo rientrare al Deposito di Mestre, il che sarebbe per me equivalso andare fisso a casa. Si seppe intanto di Milano e che a Mestre perfino il Dep. si era sciolto. Rientrò Alf.[1] dalla licenza e non sa se presentarsi; decise infine di starsene a casa. Al Pomeriggio del 26 mi misi in divisa e così Giov. C., anche lui in divisa per l’occasione; andammo da Jack a pigliare le armi che erano da lui depositate già da due giorni prima. Prima Jack e Baessato chiamati da Marfisa avevano costituito una squadra agli ordini dell’avvocato Sessa. Passammo diretti [2] verso la città, e eravamo solo noi in divisa, guardati da tutti in modo strano. Eravamo carichi: Nino[2] di moschetto aveva uno Sten ed io di due moschetti più una scatolona di cartone piena di b. a mano e di caricatori che si stava sfasciando per strada, portata un po’ per uno. Arrivammo senza incidenti da Gianni[3] e ci si consigliò sul da farsi. Timore che ci pigliasse qualche partigiano uscito prematuramente o che le Brig. Nere ci facciano concentrare concentrassero in Caserma. Si decise di andare a casa e tutto procedette benissimo. Fu l’ultima volta che ho portata quell’uniforme. Alla sera s’aspettava continuamente Fino alla sera fummo continuamente in attesa di ordini. Gianni andò dal Capo Sez. per cercare di avere le placche o dei bracciali e fa sapere novità: con Nino D. e altri lo aspetto da Albano. Arrivò da Alb. senza niente, e soprattutto con la notizia che difficilmente ci si sarebbe mossi quella notte. Forse l’indomani mattina! Andammo allora a casa un po’ sfiduciati; ma tutti pronti per il Collegamento e la riunione. Alle 23.45 circa una telefonata mi fece balzare su dal letto. Sarà Gianni con qualche ordine? Era invece quel cretino di Cadel[4] che mi domandò come andavano le cose. Lo mandai a quel paese e lo pregai di aspettare come d’accordo gli ordini [3] e di non seccare. L’indomani andai da Gianni e si stabilì, dato che non c’è ancora nessun ordine di muoversi, che io stessi a casa sua per dargli man forte in caso di qualche movimento poco simpatico di fascisti. La sua casa doveva certo esser stata notata per il via vai di gente e forse avevano anche visto portare le armi. Ce ne andammo Gianni ed io a
Nella notte alle 2.30 del 27 Gianni aveva avuto da Siringe [?] (Marco Marcuzzo) notizia aveva telef. a Gianni di essersi già mosso, e la mattina dopo gli diceva di aver occupato con la sua squadra l’Ospedale Civile, liberati i prigionieri politici fra cui Marco Marchitto (T. Colonnello Franco Boranga) nostro diretto comandante e facente parte dell’esecutivo militare, e presi diversi fascisti. La sua situazione però non era sostenibile a meno che non ci si fosse mossi tutti (Sq. Gianni, Sq. Vazzareno). Gli ordini non arrivano e al pomeriggio andai con Gianni da Vazzareno comandante della III squadra agli ordini di Boranga. Lì si parlò sul da farsi, ma per ordine del Candido (Vittorio Cossato), Siringe ricevette l’ordine di ritirarsi.
Tornammo a Ca’ Valentinelli dove un po’ alla volta alla spicciolata convennero tutti i compagni tutte le squadre a chiedere notizie, ordini, bracciali, placche ecc. E siccome niente [4] arrivava, si cominciò a imprecare su quei cretini di Comandanti, che stavano fra l’altro trattando coi tedeschi, ma fino ad allora non avevano ottenuto concluso niente, e che avevano perso il momento buono che era stato (il 26 sera).
Mi fermai Andai a casa a mangiare e tornai da Gianni dove dovevo dormire con Nino Dolfin. Trascorremmo in modo sollazzevole e ridanciano la serata e venne la mezzanotte. Jack telefonò dalla Prefettura che le Brigate Nere se ne erano andate e che ora tutto era in mano dei patrioti. Poco dopo arrivò l’ordine di tenersi pronti per l’indomani mattina. Diramazione [?] di telef. e a nanna dove si chiacchierò a lungo e si dormicchiò un po’. Alla mattina partii con Nino con placca e tesserino (ci hanno dato subito 3 (ci diedero allora in tutto 4 placche e 3 tesserini) per radunare gli uomini: passo da Alfonso, Mario B. dove c’era già Gino *ant.,[5] e da Francesco Dani, che dopo un po’ di battere arrivò con l’ineffabile Cadel, che s’era messo i guanti di porco [?]. Si andò poi da Albano, indi al traghetto di S. Tomà, dove ci si riunì con un gruppo dei altri nostri e si passò di là dall’ l’acqua, diretti in piscina S. Samuele, punto di raccolta riunione. Da lì ci dirigemmo al Commissariato di S. Marco (Calle dei Fabbri), dove ci dovrebbe esser stato il Caposestiere con ordini. Non trovammo nessuno. Intanto Mario Dolfin e Giorgio Quintavalle entrarono al Commissariato e dissero che andavamo a prendere dei Tedeschi. Pigliammo le armi e li seguimmo. Appena arrivati giunti all’imboccatura di Calle dei Fabbri arrivarono loro con un tedesco e cominciò una sparatoria con mitragliatrice pesante. Ci piazzammo lungo i muri e aspettammo. Sappiamo intanto Venimmo a sapere che c’erano all’entrate dei due Alberghi San Marco e Stella d’Oro due sentinelle tedesche, una fu catturata l’altra diede l’allarme. Gli fu sparato contro, ma il colpo non partì. Raul G.[6] intanto telefonò all’Albergo che entro un’ora dovevano arrendersi. Cessassimo intanto il fuoco. Negli scambi di fucilate e raffiche di mitragliatrice di colpi precedenti fu ferita ad un piede una donna.[7] La gente dalle finestre ci applaudiva e ci gettava sigarette e pane. Da una finestra in calle dei Fabbri mi chiamò una donna, andai con un altro e questa ci mostrò della “roba”[8] che degli “altri” avevano lasciato poco prima. Divise di fascisti, un moschetto e 2 pistole. I proprietari si erano dileguati naturalmente. Seppi, molti giorni più tardi, che uno di Polizia aveva tolto ad uno di loro, un Capitano, un mitra, e non aveva pensato di disarmarlo completamente e di portarlo dentro. Andai intanto al Luce perché fossero lasciate agli operatori [5] le macchine. Avvisammo che venissero a riprenderne [sic] in Calle dei Fabbri; non si son più rivisti. Intanto scadeva Frattanto arrivò al Comando un signore che si dice ufficiale di Coll[egamento] della VIII Armata e afferma che alle 9.30 ci doveva essere a richiesta del Comitato di Venezia un bombardamento della Riva Schiavoni, Zattere e Giudecca. Gianni lo accompagnò in Prefettura e di lì all’EIAR,[9] dove si parlò con l’VIII armata e dopo un quarto d’ora arrivò la risposta e il pericolo era stato scongiurato. Scadette Scadde intanto il termine posto ai tedeschi e Raul, disarmato, col tedesco catturato avanzò verso gli Alberghi, noi dietro a lui. Entrò al San Marco e con un urlaccio fece deporre le armi agli ultimi 3 superstiti rimasti. Gli altri tedeschi si erano ritirati al Platzkommandantur. Si piazzò tosto la mitragliatrice prima sul Ponte dei Dai e poi in Piazza S. Marco e Raul andò ancora a parlamentare nel mezzo della Piazza. Riuscì ad ottenere che la bandiera tedesca fosse cambiata con quella italiana e che la Piazza S. Marco e la Zona antistante al Hafenkommando fosse in nostra mano. Da nessuna parte doveva esser fatta azione di fuoco. A mezzogiorno mi si mandò a richiesta del Coll. Boranga in campo S. M. del Giglio e lì rimasi con 4 uomini 24 ore consecutive, durante le quali catturammo 2 tedeschi, [6] li disarmammo e li portammo a casa [sic]. Finita la mia guardia passai il canale a caccia di presunti fascisti, verso Salviati e case vicine; lunghe ore di caccia, senza risultato. Perquisizione all’Abbazia di San Gregorio dove faticai a tenere nei limiti della legalità dei Comunisti aggregatisi a noi, i quali però si fecero fuori grattarono qualche Kg. di tabacco. Ritornai poi al Comando e fatta colazione[10] andammo a caccia di cecchini fascisti. Lunghe ore di sparatorie senza risultato. Potei alla sera finalmente andare a dormire a casa, ma non per molte ore. Ci si dovette trovare alle 6.30 in Comando perché pareva ci fossero circolassero in città 200 della X Mas armati che erano al lavoro [?] in città. Fu invece un falso allarme. Continuammo ancora per qualche giorno servizio d’ordine e di pattuglia ed infine ricevemmo l’ordine di consegnare le armi … c’è in giro ancora molto più della metà dei fascisti, mascherati sotto fogge varie, e c’è pure un buon numero di delinquenti, che compiono con ragioni politiche i loro delitti. Col tempo e con perseveranza arriveremo a far piazza pulita! Diè n’ai![11]
(Scritto con buona speranza, ma con scarso non altrettanto piacere)
giugno 1945
[1] Presumibilmente Alfonso Calandri, cugino dell’autore.
[2] Nino Dolfin, v. infra.
[3] Gianni Valentinelli, amico fraterno dell’autore; abitava nei pressi di S. Samuel in Sestiere S. Marco.
[4] Ovvero Cudel, oppure Ciadel, se non Cradel. Il nome compare due volte, ma non si legge bene.
[5] Forse: «Gino Mant.»
[6] Raul Gregorich, personaggio interessante, prematuramente scomparso, aveva un’ottima conoscenza del tedesco. Appartenne per un breve periodo al circolo degli amici di Peggy Guggenheim.
[7] La descrizione che mio padre mi fece in un paio di occasioni di questo episodio era molto intensa; in quel momento, e presumibilmente solo in quello, i giovani attivisti del GUP (Gruppo Universitario Patriottico) si trovarono effettivamente sotto tiro e dovettero ricorrere a una bomba a mano per far tacere la postazione. La donna ebbe il piede completamente tranciato dalla mitragliatrice.
[8] Oppure: «robe».
[9] Ente Italiano Audizioni Radiofoniche.
[10] Secondo un lessico in uso ancora oggi, s’intende: «pranzo».
[11] «Dio ci dia aiuto», inizio di una preghiera, detta “Santa Parola”, recitata da marinai e pellegrini quando la navigazione si protraeva più giorni senza vedere terra.
Grazie.