Venduti al chilo, seconda parte: Santa Madre Chiesa
Le proprietà della Chiesa cattolica nelle sue molteplici articolazioni e congregrazioni sono molteplici, a Venezia come a Roma: un censimento completo è quasi impossibile data la pluralità di soggetti (l’unico disponibile è quello delle proprietà patriarcali, che sono una piccola frazione del totale) ed è un motivo in più per non fare “di tutta l’erba un fascio”. Non si tratta solo di edifici di culto e assimilati (ai fini IMU) ma anche di:
- proprietà a uso residenziale accumulate in virtù di lasciti e donazioni alle parrocchie o alle numerose Opere Pie, perché potessero provvedere alle necessità dei più demuniti, e altre ad uso commerciale (piani terra soprattutto) che in passato hanno svolto (e in parte tuttora svolgono) un ruolo prezioso di “calmiere” a vantaggio delle fasce più povere della popolazione e dei negozi di prossimità;
- edifici adibiti ad uso scolastico (scuole paritarie) che in alcuni casi hanno chiuso o stanno chiudendo, come nel caso di Palazzo Seriman che dal 1885 all’anno scorso ha avuto un posto speciale nel cuore dei veneziani, prima come scuola di mosaico e poi come scuola dell’infanzia gestita dalle “Ancelle di Gesù Bambino” ma da tutti è chiamata semplicemente “Silvestri” dal nome della benefattrice (Elena Silvestri) che aveva acquistato il palazzo nel 1884 per poi fondare la suddetta congregazione nel 1920. In questa scuola dell’infanzia hanno mosso i primi passi migliaia di bambini veneziani; se le notizie riportate dalla stampa odierna risultassero fondate, potrebbe invece diventare l’ennesimo albergo:
Il motivo per cui ce ne occupiamo è che non si tratta di un caso isolato (e tutto da verificare, quindi potenzialmente reversibile) ma di una tendenza generale, come nel caso di altro convento nello stesso sestiere di Cannaregio, la cui sorte è invece già segnata come riportato dalla stampa locale il 20 novembre. In quel caso, la congregazione era quella delle “Figlie di San Giuseppe” (con buona pace dell’omonimo falegname, che forse avrebbe suggerito altre destinazioni d’uso più consone allo spirito cristiano del nome):
Alla voce “ospitalità religiosa”, nei 6 sestieri di Venezia sono già recensite 26 strutture ricettive (limitando la ricerca al solo sito Internet “dedicato” a loro) che ovviamente non guardano alla religione degli ospiti paganti ma alla validità della carta di credito utilizzata per le prenotazioni e in alcuni casi promuovono i propri servizi con tecniche di marketing non dissimili da quelle delle grandi catene alberghiere:
In aggiunta alle camere d’albergo con servizio di portineria, alcune come Domus Ciliota propongono anche appartamenti “di lusso” (Ciliota Deluxe) regolarmente offerti su piattaforme come Airnbn o Booking.com e in questi casi la differenza con altri operatori diventa impercettibile, tanto da far pensare che il processo di omologazione e appiattimento generale a Venezia non risparmi più nessuno: nemmeno Istituzioni nate con ben altri scopi. Dal sito del Collegio Ciliota apprendiamo ad esempio che:
“Il 20 luglio del 1822 gli spazi del monastero si aprono per accogliere la comunità di maestre ed educande retta da Don Ciliota il cui numero cresceva a vista d’occhio. Nella vicina zona di S. Samuele, Don Pietro Ciliota aveva già iniziato ad accogliere ragazze povere per istruirle nel catechismo ed impartire loro, con la collaborazione di alcune maestre, i fondamenti del sapere (leggere e scrivere) e dei lavori domestici”.
Al giorno d’oggi, ferma restando la destinazione di parte del patrimonio immobiliare a studenti non necessariamente poveri, la sensazione è quella di un progressivo quanto inesorabile spostamento del “baricentro Ciliota” (e non solo) verso le più lucrative locazioni turistiche.
Parliamo del Ciliota a titolo di esempio (ben sapendo che non è l’unico) perché proprio a questo Istituto risale il primo esempio di trasformazione di una scuola veneziana in albergo:
http://ricerca.gelocal.it/nuovavenezia/archivio/nuovavenezia/2007/03/29/VM3VM_VM301.html
Correva l’anno 2007 e questo va detto per chiarire che il processo in corso ha radici lontane: molti osservatori ne fanno coincidere l’inizio con il Giubileo dell’anno 2000.
Altro fenomeno che abbiamo denunciato in passato: la trasformazione o il tentativo di trasformazione di alcune canoniche (pertinenze di luogo di culto, e quindi esenti da IMU) in strutture ricettive come nel caso di Santa Fosca, ceduta al vicino albergo che già utilizza il campanile come magazzino, in cambio di inesistenti restauri della Chiesa (tuttora chiusa al pubblico) mentre all’interno della canonica erano partiti lavori di trasformazione in assenza di titolo edilizio:
Come chiarito in premessa, non intendiamo “fare di tutta l’erba un fascio” e cercheremo di distinguere caso per caso, senza crociate e senza mai ergerci a giudici dell’operato altrui. Se ne parliamo è con profondo rispetto nei confronti dei valori cristiani (in cui molti di noi sono cresciuti) e se a volte alziamo la voce è proprio nella speranza che vengano preservati, in una città dove il profitto di breve termine sembra essere diventato l’unica bussola o metro di giudizio (Fiat Voluntas Schei, come è stato ironicamente osservato).
Nel farlo siamo consapevoli delle difficoltà economiche che possono portare alla ricerca di dolorosi compromessi in alcune specifiche situazioni, ma nella ricerca di tali compromessi vorremmo che non venisse dimenticata la Dottrina Sociale della Chiesa e questo passaggio in particolare:
177 La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile: « Al contrario, essa l’ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell’intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni ».372 Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l’esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l’uomo e dell’intera umanità.373 Tale principio non si oppone al diritto di proprietà,374 ma indica la necessità di regolamentarlo. La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo.375
La prima parte di questa inchiesta a puntate è stata pubblicata qui:
https://gruppo25aprile.org/2018/06/28/venduti-al-chilo-prima-parte/