Gruppo 25 aprile

Piattaforma civica (e apartitica) per Venezia e la sua laguna

Archivio per la categoria “Le nostre lettere”

Fra il dire e il fare.. la vergogna delle case vuote a Venezia

La Giunta in carica ci ha abituati a un certo scollamento fra gli annunci roboanti e la realtà dei fatti. Questa lettera firmata, inviata al nostro portavoce con richiesta di pubblicazione, tocca un tema a cui siamo da sempre sensibili e su cui avevamo anche (incautamente?) dato atto del solenne impegno – più volte ribadito – a fare buon uso del patrimonio edilizio di proprietà comunale, mettendo fine allo scandalo dei troppi appartamenti vuoti per mancanza di assegnazione o di manutenzione. Ad una successiva verifica empirica di altri alloggi di proprietà comunale, ne abbiamo trovati altri che sono vuoti a 8 anni di distanza (otto!) dal decesso dell’ultimo assegnatario. Questo ci fa pensare che il caso denunciato non sia isolato, e ringraziamo quindi chi ci ha inviato la  lettera che qui riproduciamo, integralmente e senza tagli:

“Spero di non disturbarla ma volevo esporle una situazione riguardo un bando per l’assegnazione di case comunali in Centro Storico.
Seguo il suo impegno per Venezia nel Gruppo25Aprile quindi penso che la cosa possa interessare Lei e tutti coloro che tengono a questa città.
Il bando riguarda l’assegnazione di 28 alloggi in regime Social Housing ubicati tra Centro Storico, Lido, Murano e Giudecca e dedicati a coppie under 31.
Io e la mia ragazza abbiamo partecipato presentando domanda a novembre 2018.
Un anno fa, a marzo 2019, sono uscite le graduatorie provvisorie e ad agosto le definitive. Con nostro grande piacere siamo risultati tra i 28 aventi diritto.
Da quel momento non si è più saputo niente.
Nonostante le continue telefonate (nostre e di altri ragazzi che come noi son risultati vincitori del bando) agli uffici del comune, nessuno è mai riuscito a darci una tempistica precisa su quando queste case sarebbero state assegnate. Ad oggi, dopo le più diverse e allucinanti risposte da parte dei vari funzionari del comune, noi e altre 26 coppie (2 a quanto pare si sono ritirate) siamo ancora in attesa di essere contattati per l’assegnazione delle case.
Abbiamo programmato le nostre vite in vista di un futuro a Venezia; abbiamo dovuto firmare contratti d’affitto (in terraferma, dato che a Venezia è difficile trovare prezzi umani) senza sapere quando poter dare preavviso in caso di spostamento nei nuovi allogi; abbiamo messo in secondo piano progetti all’estero per paura di perdere qualche chiamata importante.
Ora gli uffici comunali sono bloccati dall’emergenza sanitaria nonostante i mezzi che la tecnologia ci fornisce.
Da novembre 2018 mi sento preso in giro da una amministrazione incapace di saper gestire un Bando così importante per una città che piano piano sta perdendo ogni identità.
Grazie dell’attenzione.
Rimango a disposizione per qualsiasi dettaglio in più.
Le chiedo di mantenere l’anonimato in caso di pubblicazione”.
Lettera firmata, Mestre 4 maggio 2020
Credits foto: Marco Gasparinetti
A titolo di confronto, ecco uno degli annunci roboanti di cui avevamo dato conto in questo blog:

 

Achille Passi: un ricordo inedito della Liberazione di Venezia

Inoltro con molto piacere una piccolissima pagina di storia italiana, ritrovata a Venezia tra le carte di mio padre Achille Passi (1924-2003) nel settembre del 2008, senza intestazione, scritta a matita su un block-notes senza righe con fogli a strappo, compilato su 6 fogli (la maggior parte del blocchetto era stata già usata e non si è conservata). Nella trascrizione mi sono permesso qualche ritocco alla punteggiatura e alla divisione in paragrafi. Qualche incertezza permane su alcuni nomi propri. I fogli sono indicati con numeri tra parentesi quadre in grassetto all’incipit. Si noti che il manoscritto (di lettura non agevole perché sbiadito) è stato corretto dall’autore, soprattutto nell’uso dei tempi verbali, ma non in modo uniforme, tanto che rimane qua e là qualche piccola incongruenza sintattica. Il racconto collima più o meno con i pochissimi resoconti orali — incompleti ma più ricchi di particolari — uditi direttamente dal sottoscritto molto tempo fa. Sono state aggiunte alcune indicazioni fra parentesi quadre e pochissime note. Mancano notizie su alcuni personaggi.

 Alessandro Passi

[1] Dopo mesi e mesi di lavoro prudente, sotterraneo, segreto con l’ansia di nascondere il nostro operato anche alle persone più care, son venuti ora finalmente i giorni della azione. Son venuti i giorni desiderati e anche son passati e già cominciano a far pare del mondo bello dei ricordi. Prima che la memoria impallidisca la realtà o che la fantasia arrotondi il racconto dei fatti come sono veramente svisi la verità, sarà bene buttar giù un resoconto degli avvenimenti di ciò che è avvenuto.

Ero da qualche giorno instabile in Prefettura perché il 2 maggio dovevo rientrare al Deposito di Mestre, il che sarebbe per me equivalso andare fisso a casa. Si seppe intanto di Milano e che a Mestre perfino il Dep. si era sciolto. Rientrò Alf.[1] dalla licenza e non sa se presentarsi; decise infine di starsene a casa. Al Pomeriggio del 26 mi misi in divisa e così Giov. C., anche lui in divisa per l’occasione; andammo da Jack a pigliare le armi che erano da lui depositate già da due giorni prima. Prima Jack e Baessato chiamati da Marfisa avevano costituito una squadra agli ordini dell’avvocato Sessa. Passammo diretti [2] verso la città, e eravamo solo noi in divisa, guardati da tutti in modo strano. Eravamo carichi: Nino[2] di moschetto aveva uno Sten ed io di due moschetti più una scatolona di cartone piena di b. a mano e di caricatori che si stava sfasciando per strada, portata un po’ per uno. Arrivammo senza incidenti da Gianni[3] e ci si consigliò sul da farsi. Timore che ci pigliasse qualche partigiano uscito prematuramente o che le Brig. Nere ci facciano concentrare concentrassero in Caserma. Si decise di andare a casa e tutto procedette benissimo. Fu l’ultima volta che ho portata quell’uniforme. Alla sera s’aspettava continuamente Fino alla sera fummo continuamente in attesa di ordini. Gianni andò dal Capo Sez. per cercare di avere le placche o dei bracciali e fa sapere novità: con Nino D. e altri lo aspetto da Albano. Arrivò da Alb. senza niente, e soprattutto con la notizia che difficilmente ci si sarebbe mossi quella notte. Forse l’indomani mattina! Andammo allora a casa un po’ sfiduciati; ma tutti pronti per il Collegamento e la riunione. Alle 23.45 circa una telefonata mi fece balzare su dal letto. Sarà Gianni con qualche ordine? Era invece quel cretino di Cadel[4] che mi domandò come andavano le cose. Lo mandai a quel paese e lo pregai di aspettare come d’accordo gli ordini [3] e di non seccare. L’indomani andai da Gianni e si stabilì, dato che non c’è ancora nessun ordine di muoversi, che io stessi a casa sua per dargli man forte in caso di qualche movimento poco simpatico di fascisti. La sua casa doveva certo esser stata notata per il via vai di gente e forse avevano anche visto portare le armi. Ce ne andammo Gianni ed io a

Nella notte alle 2.30 del 27 Gianni aveva avuto da Siringe [?] (Marco Marcuzzo)   notizia aveva telef. a Gianni di essersi già mosso, e la mattina dopo gli diceva di aver occupato con la sua squadra l’Ospedale Civile, liberati i prigionieri politici fra cui Marco Marchitto (T. Colonnello Franco Boranga) nostro diretto comandante e facente parte dell’esecutivo militare, e presi diversi fascisti. La sua situazione però non era sostenibile a meno che non ci si fosse mossi tutti (Sq. Gianni, Sq. Vazzareno). Gli ordini non arrivano e al pomeriggio andai con Gianni da Vazzareno comandante della III squadra agli ordini di Boranga. Lì si parlò sul da farsi, ma per ordine del Candido (Vittorio Cossato), Siringe ricevette l’ordine di ritirarsi.

Tornammo a Ca’ Valentinelli dove un po’ alla volta alla spicciolata convennero tutti i compagni tutte le squadre a chiedere notizie, ordini, bracciali, placche ecc. E siccome niente [4] arrivava, si cominciò a imprecare su quei cretini di Comandanti, che stavano fra l’altro trattando coi tedeschi, ma fino ad allora non avevano ottenuto concluso niente, e che avevano perso il momento buono che era stato (il 26 sera).

Mi fermai Andai a casa a mangiare e tornai da Gianni dove dovevo dormire con Nino Dolfin. Trascorremmo in modo sollazzevole e ridanciano la serata e venne la mezzanotte. Jack telefonò dalla Prefettura che le Brigate Nere se ne erano andate e che ora tutto era in mano dei patrioti. Poco dopo arrivò l’ordine di tenersi pronti per l’indomani mattina. Diramazione [?] di telef. e a nanna dove si chiacchierò a lungo e si dormicchiò un po’. Alla mattina partii con Nino con placca e tesserino (ci hanno dato subito 3 (ci diedero allora in tutto 4 placche e 3 tesserini) per radunare gli uomini: passo da Alfonso, Mario B. dove c’era già Gino *ant.,[5] e da Francesco Dani, che dopo un po’ di battere arrivò con l’ineffabile Cadel, che s’era messo i guanti di porco [?]. Si andò poi da Albano, indi al traghetto di S. Tomà, dove ci si riunì con un gruppo dei altri nostri e si passò di là dall’ l’acqua, diretti in piscina S. Samuele, punto di raccolta riunione. Da lì ci dirigemmo al Commissariato di S. Marco (Calle dei Fabbri), dove ci dovrebbe esser stato il Caposestiere con ordini. Non trovammo nessuno. Intanto Mario Dolfin e Giorgio Quintavalle entrarono al Commissariato e dissero che andavamo a prendere dei Tedeschi. Pigliammo le armi e li seguimmo. Appena arrivati giunti all’imboccatura di Calle dei Fabbri arrivarono loro con un  tedesco e cominciò una sparatoria con mitragliatrice pesante. Ci piazzammo lungo i muri e aspettammo. Sappiamo intanto Venimmo a sapere che c’erano all’entrate dei due Alberghi San Marco e Stella d’Oro due sentinelle tedesche, una fu catturata l’altra diede l’allarme. Gli fu sparato contro, ma il colpo non partì. Raul G.[6] intanto telefonò all’Albergo che entro un’ora dovevano arrendersi. Cessassimo intanto il fuoco. Negli scambi di fucilate e raffiche di mitragliatrice di colpi precedenti fu ferita ad un piede una donna.[7] La gente dalle finestre ci applaudiva e ci gettava sigarette e pane. Da una finestra in calle dei Fabbri mi chiamò una donna, andai con un altro e questa ci mostrò della “roba”[8] che degli “altri” avevano lasciato poco prima. Divise di fascisti, un moschetto e 2 pistole. I proprietari si erano dileguati naturalmente. Seppi, molti giorni più tardi, che uno di Polizia aveva tolto ad uno di loro, un Capitano, un mitra, e non aveva pensato di disarmarlo completamente e di portarlo dentro. Andai intanto al Luce perché fossero lasciate agli operatori [5] le macchine. Avvisammo che venissero a riprenderne [sic] in Calle dei Fabbri; non si son più rivisti. Intanto scadeva Frattanto arrivò al Comando un signore che si dice ufficiale di Coll[egamento] della VIII Armata e afferma che alle 9.30 ci doveva essere a richiesta del Comitato di Venezia un bombardamento della Riva Schiavoni, Zattere e Giudecca. Gianni lo accompagnò in Prefettura e di lì all’EIAR,[9] dove si parlò con l’VIII armata e dopo un quarto d’ora arrivò la risposta e il pericolo era stato scongiurato. Scadette Scadde intanto il termine posto ai tedeschi e Raul, disarmato, col tedesco catturato avanzò verso gli Alberghi, noi dietro a lui. Entrò al San Marco e con un urlaccio fece deporre le armi agli ultimi 3 superstiti rimasti. Gli altri tedeschi si erano ritirati al Platzkommandantur. Si piazzò tosto la mitragliatrice prima sul Ponte dei Dai e poi in Piazza S. Marco e Raul andò ancora a parlamentare nel mezzo della Piazza. Riuscì ad ottenere che la bandiera tedesca fosse cambiata con quella italiana e che la Piazza S. Marco e la Zona antistante al Hafenkommando fosse in nostra mano. Da nessuna parte doveva esser fatta azione di fuoco. A mezzogiorno mi si mandò a richiesta del Coll. Boranga in campo S. M. del Giglio e lì rimasi con 4 uomini 24 ore consecutive, durante le quali catturammo 2 tedeschi, [6] li disarmammo e li portammo a casa [sic]. Finita la mia guardia passai il canale a caccia di presunti fascisti, verso Salviati e case vicine; lunghe ore di caccia, senza risultato. Perquisizione all’Abbazia di San Gregorio dove faticai a tenere nei limiti della legalità dei Comunisti aggregatisi a noi, i quali però si fecero fuori grattarono qualche Kg. di tabacco. Ritornai poi al Comando e fatta colazione[10] andammo a caccia di cecchini fascisti. Lunghe ore di sparatorie senza risultato. Potei alla sera finalmente andare a dormire a casa, ma non per molte ore. Ci si dovette trovare alle 6.30 in Comando perché pareva ci fossero circolassero in città 200 della X Mas armati che erano al lavoro [?] in città. Fu invece un falso allarme. Continuammo ancora per qualche giorno servizio d’ordine e di pattuglia ed infine ricevemmo l’ordine di consegnare le armi … c’è in giro ancora molto più della metà dei fascisti, mascherati sotto fogge varie, e c’è pure un buon numero di delinquenti, che compiono con ragioni politiche i loro delitti. Col tempo e con perseveranza arriveremo a far piazza pulita! Diè n’ai![11]

(Scritto con buona speranza, ma con scarso non altrettanto piacere)

giugno 1945

[1] Presumibilmente Alfonso Calandri, cugino dell’autore.

[2] Nino Dolfin, v. infra.

[3] Gianni Valentinelli, amico fraterno dell’autore; abitava nei pressi di S. Samuel in Sestiere S. Marco.

[4] Ovvero Cudel, oppure Ciadel,  se non Cradel. Il nome compare due volte, ma non si legge bene.

[5] Forse:  «Gino Mant

[6] Raul Gregorich, personaggio interessante, prematuramente scomparso, aveva un’ottima conoscenza del tedesco. Appartenne per un breve periodo al circolo degli amici di Peggy Guggenheim.

[7] La descrizione che mio padre mi fece in un paio di occasioni di questo episodio era molto intensa; in quel momento, e presumibilmente solo in quello, i giovani attivisti del GUP (Gruppo Universitario Patriottico) si trovarono effettivamente sotto tiro e dovettero ricorrere a una bomba a mano per far tacere la postazione. La donna ebbe il piede completamente tranciato dalla mitragliatrice.

[8] Oppure: «robe».

[9] Ente Italiano Audizioni Radiofoniche.

[10] Secondo un lessico in uso ancora oggi, s’intende: «pranzo».

[11] «Dio ci dia aiuto», inizio di una preghiera, detta “Santa Parola”, recitata da marinai e pellegrini quando la navigazione si protraeva più giorni senza vedere terra.

Muneghette. Lettera aperta al Patriarca

Lettera aperta al Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia

Venezia, 5 dicembre 2019

Con un certo disappunto leggiamo comunicati stampa del Patriarcato in cui viene minimizzato e sottostimato il numero delle persone alloggiate alle Muneghette, e ci coglie pertanto il dubbio che il Patriarcato sia stato male informato dalla CARITAS che gestisce la struttura: la settimana scorsa erano ancora 16 e non 8, attualmente sono 12 e non 4 come invece affermato dal comunicato stampa di ieri sera.

Nel rivolgerci a Lei useremo le parole di saggezza che ci avevano fatto ben sperare, quando l’Avvenire aveva pubblicato questa Sua dichiarazione, il 14 novembre scorso: “È desolante vedere zone di Venezia che sono a poche centinaia di metri dai flussi turistici e completamente disabitate, sole, è davvero sconfortante. Una volta ho detto che Venezia non è più una città abitata, non è più una città dove si sentono le voci dei bambini, gli anziani sono pochi, sono confinati in appartamenti con scale che sono difficilmente percorribili. Ecco dobbiamo cercare di ripensare la città non tagliando fuori nessuno”.

Se l’intento è quello di “non tagliar fuori nessuno“, come non pensare agli ospiti delle Muneghette fra cui ci sono famiglie con bambini in tenera età e una donna incinta al sesto mese, persone anziane (80 anni) e persone invalide ivi collocate dalla CARITAS o dai servizi sociali, che nel comunicato stampa vengono invece definite come “abusivi” solo perché la loro permanenza si è protratta in quei luoghi per assenza di soluzioni alternative da parte di chi poteva e doveva indicarle, e in questi mesi non lo ha fatto?

Se il lodevole intento è quello di sentire ancora le “voci dei bambini” a Venezia, come pensare che tutto si risolva sradicandoli dal loro sestiere per trasferirli in un albergo a Marghera, come imposto dalla CARITAS con un preavviso di sole 24 ore, lontani dal loro asilo e senza nessuna garanzia di una collocazione rispettosa della dignità umana, una volta trascorsi quei 30 giorni?

Se a Venezia “gli anziani sono pochi” perché contribuire a imporne uno sradicamento che, nelle parole del comunicato stampa, prevede solo una “soluzione abitativa in terraferma”? La Curia non dispone di alloggi o proprietà immobiliari a Venezia?

Il comunicato stampa di ieri sera ha provocato sconcerto nei nostri cuori, perché parlare di “occupazione abusiva” potrà anche essere corretto sul piano giuridico, una volta scaduti i termini legali impartiti per lo sgombero coatto dei luoghi, ma ci pare poco consono alla “pietas” e alla “caritas” cristiana, che nel caso di Roma ha invece visto il cardinale Konrad Krajweski, elemosiniere di Papa Francesco, compiere un gesto nobile e di segno opposto a difesa dei più deboli e degli ultimi:

Cardinale riattacca la luce. Parolin e il Vicariato giustamente lo difendono

A Venezia invece abbiamo incaricati della CARITAS impegnati a “staccare” acqua calda e riscaldamento in una struttura gestita da loro, che nessuno ha “occupato” dato che gli inquilini sono stati ivi collocati proprio dalla CARITAS o dai servizi sociali.

Il nostro sconcerto è aumentato quando abbiamo appurato che nel Pensionato Muneghette, nonostante gli SOS degli inquilini,  è stata fatta mancare anche la manutenzione ordinaria, al punto che l’acqua alta del 12 Novembre è diventata pretesto per lasciare senza riscaldamento e senza acqua calda, senza gas e senza luce nelle parti comuni, persone già fragili al solo scopo di accelerarne la partenza, sollecitata con tutti i mezzi compresi i più subdoli.

Il modus operandi di singoli assistenti sociali e/o incaricati della CARITAS, per eccesso di zelo e drammatica assenza di empatia o compassione, in queste difficili giornate appare come una nota stonata o un gesso che stride sulla lavagna, rispetto ai valori che nella parola stessa (“caritas”) ci richiamano al comandamento che a tutti noi richiede “amore del prossimo”.

Se vorrà ascoltare questa supplica, saremo al Suo fianco per aiutare i residenti più deboli a restare in questa città e contrastare la deriva mercantilistica che vede solo il denaro e il profitto come bussola da parte di chi usa Venezia per fare cassa, espellendone gli ultimi cittadini rimasti.

Semplicemente e umilmente vorremmo che alle Sue nobili parole seguissero i fatti di chi, come gli incaricati della CARITAS, dipende dalla Sua autorità e con i suoi atti o le sue omissioni rischia invece di minarne l’autorevolezza.

Con stima

Il gruppo25aprile

“Con l’amore del prossimo il povero è ricco, senza l’amore del prossimo il ricco è povero”.
(Sant’Agostino)

Nella prima immagine: il pensionato Muneghette, fotografato il 27 novembre scorso

Nella seconda: Corriere del 5 dicembre 2019, l’articolo di Elisa Lorenzini

Muneghette. Diritto di replica a: “Gente Veneta”

Premessa per chi non conosce la vicenda:

Per chi non conosce la vicenda, già denunciata dalla stampa locale, le persone ospiti del pensionato “Muneghette” sono senza acqua calda e senza riscaldamento, senza gas e senza luce nelle parti comuni dal 12 novembre, nonostante la richiesta scritta di riattivare i servizi minimi formulata da due persone particolarmente fragili, in quanto affette da invalidità, in data 18 novembre.

A tale richiesta non è mai stata data risposta. Il 3 dicembre si sono invece ritrovati una lettera attaccata con lo scotch sulla porta di casa, che intima a tutti di fare le valigie entro il 4 dicembre con destinazione Marghera, per una sistemazione provvisoria della durata massima di 30 giorni. Con quali garanzie per il “dopo”, considerando che per le Muneghette sono previsti lavori di lunga durata, di cui nemmeno si conosce la data di inizio?

24 ore di tempo per decidere. Fra le persone con cui abbiamo parlato ci sono famiglie con bambini, un’anziana ottantenne e due persone invalide.

Diritto di replica, in forza di procura speciale degli interessati:

Con riferimento all’articolo pubblicato oggi nell’edizione online di “Gente Veneta”, facciamo presente quanto segue:

I°) 24 ore per fare le valigie, è stato detto agli italiani di Pola nel 1947. Sono metodi da comunisti titini, più che da “Caritas” italiana.

II°) il trasferimento coatto oltre il ponte (Marghera) vista la distanza dal sestiere di Castello equivale a uno sradicamento, in particolar modo per i bambini che frequentano l’asilo a Venezia.

III°) le garanzie offerte (un mese di ospitalità) hanno l’aria di essere soltanto un espediente per evitare scandali sotto Natale: un mese soltanto, e poi l’Epifania, che tutti i disperati si porta via?

IV°) Il progetto di ristrutturazione del complesso denominato “Muneghette” deve essere approvato dalla Soprintendenza. Lo è stato? I lavori inizieranno il 5 dicembre? Se non è cosi, perché tanta fretta nell’intimare lo sgombero entro 24 ore?

V°) Le persone presenti nel pensionato sono 16 e non otto. Fra loro ci sono quattro bambini e due donne invalide, nonché una persona ottantenne. Definirle “abusivi” non è un atteggiamento degno della “caritas” cristiana: anche se la permanenza nei locali è attualmente “sine titulo”, nessuno è entrato in quegli alloggi abusivamente o forzando la porta (gli è semplicemente scaduto un contratto che la Caritas non vuole rinnovare).

VI°)  La caldaia è del 2016 e il nostro sopralluogo del 27 novembre permette di smentire la favoletta della “rottura definitiva della centrale termica” addotta come pretesto per privare gli inquilini di acqua calda e riscaldamento, quando la riparazione del guasto – conseguente all’acqua alta del 12 novembre – è invece un atto di manutenzione ordinaria che fa capo alla CARITAS.

L’articolo di Gente Veneta a cui facciamo riferimento:

Muneghette, entro domani il trasferimento degli occupanti

A scanso di equivoci, precisiamo che la manutenzione ordinaria dell’immobile spetta alla CARITAS che l’ha ricevuto in comodato gratuito dall’IRE, e che la gestione del “pensionato Muneghette” è sua precisa responsabilità sotto tutti gli aspetti (civile e anche penale, per gli atteggiamenti intimidatori tenuti dai suoi incaricati nei confronti di alcuni inquilini).

Al di là degli aspetti giuridici, riteniamo che chi gestisce un bene che è proprietà di un Istituto Pubblico di Assistenza e Beneficenza (IPAB) sia tenuto ad ispirarsi a valori di “pietas” e di rispetto della dignità umana, e questo perché al di là di ogni obbligo di Legge esistono valori universali di cui è custode.

La proprietà dei luoghi (IRE) risulta assolutamente estranea all’uso che ne viene fatto in questi giorni, e alle ipotesi di reato che ci è parso di ravvisare in alcuni specifici episodi.

Venezia 3 dicembre 2019

Il Gruppo25Aprile

Chiostro Muneghette

Non tutto è oro ciò che luccica da fuori: dietro al bel portone (che peraltro non si chiude) vivono donne sole e famiglie con bambini in queste condizioni, senza luce nelle parti comuni e senza acqua calda né riscaldamento dal 12 novembre. La caldaia è stata cambiata nel 2016 e anziché riattivarla almeno fino a Natale si è preferita la strada dello sgombero entro 24 ore.

#Referendum primo dicembre: lettera ai margherini

Lettera agli amici di Marghera

Ciao, ho 60 anni e vivo a Venezia, dove sono nato. Da 15 anni lavoro a Mestre. E amo Marghera. Non lo so perché la amo. È nel DNA. 

Mio padre mi parlava spesso di Marghera. Mio nonno ci lavorava come falegname dopo che mia nonna lo aveva iscritto al Partito Fascista

Prima non poteva lavorare e lei non sapeva come sfamare i loro 7 figli. Da quel giorno lui non le parlò più fino alla morte.

Mi veniva descritto come “l’esilio”. Qualche domenica mi ci portava a passeggiare in mezzo al verde. Con la mozzarella finale in piazza Mercato.

Lui diceva cheMarghera è il settimo sestiere”, “di certo è più Venezia del Lido”. Pensa se lo avessero fatto! Il 7mo Sestiere.

Mio nonno e mio padre erano socialisti. Mio padre fino all’arrivo di Craxi. Io Comunista. Comunista di Berlinguer. 

E amavo il sindacato di Di Vittorio e di Lama. E questo con tutti gli errori commessi, ma ho sempre pensato che il PCI e la DC hanno creato una coesione sociale forte in questo paese. Si aveva riguardo e rispetto per gliultimi”. E li si aiutava.

Possiamo affermare senza paura di sbagliare che sia a Venezia, sia a Marghera che a Mestre, 30 anni fa si viveva meglio. E questo a prescindere dalla nostra condizione economica individuale.

Esisteva la coesione sociale. La cultura era in ogni luogo. Teatri amatoriali; ragazzi che avevano piccoli complessi; cinema diffusi. E avevamo i negozi sotto casa.

Se siamo sinceri con noi stessi, dobbiamo ammettere che per 30 anni abbiamo avuto una classe politica incompetente. Che ha governato senza un progetto, senza idee, ma, soprattutto senza ascoltare i bisogni della popolazione. Riducendo sempre più l’aiuto sociale e disgregando la comunità

Son convinto che Marghera abbia avuto delle parentesi felici con amministratori locali che erano superiori alla media.

Adesso hanno chiamato uno di Mogliano per celebrare il funerale. Non solo di Venezia. Ma anche di Marghera e Mestre.

 Adesso abbiamo di nuovo il referendum. 

Io ho sempre votato no. Questa volta voto sì.

Voto perché voglio avere ancora una speranza

Stefano, nato a Venezia lavora a Mestre e ama Marghera

 

#Referendum primo dicembre: lettera ai veneziani

Lettera ai veneziani, ai muranesi, ai buranelli e a tutti i residenti della Venezia insulare

Fino a poco tempo fa abitare a Venezia era forse scomodo, ma meraviglioso: una città a misura d’uomo, senza traffico, poco inquinamento e un’incredibile sicurezza sociale, anche la notte, perché tutti si conoscevano e vi era un capillare controllo di vicinato. Una città in cui i bambini giocavano in strada e gli adulti, incontrandosi, facevano a gara nell’offrirsi un caffè o uno spritz.
C’era chi fino a poco tempo fa definiva un privilegio poter abitare a Venezia.

Oggi però quella Venezia, che tanti anni fa ho scelto per me e i miei figli, è quasi irriconoscibile, sta scomparendo soffocata dal turismo che, oltre a invadere le calli, ha sostituito negozi di vicinato e artigiani con venditori di cianfrusaglie e fast food.

Ma c’è un’altra conseguenza, che forse non è così evidente a chi non vive in città: negli abitanti residui sta sorgendo un senso di impotenza, di frustrazione e di mancanza di speranza nel futuro.

Per capire questi sentimenti è il caso di ricordare quanto hanno detto alcuni sindaci veneziani: un sindaco filosofo ha detto: “Il futuro di Venezia è a Mestre”; un suo predecessore, rettore universitario: “Venezia non si sta svuotando, si sta allargando”; quello attuale infine: “Non vi sta bene il turismo? Andate in terraferma”.

Non è stupefacente che non uno, ma più sindaci si permettano in sostanza di suggerire ai propri concittadini – che sono anche elettori – di andarsene?

È proprio questo il problema: se nessun altro sindaco al mondo si sognerebbe di dire una cosa del genere, a Venezia si può.
Si può perché non è penalizzante, in quanto gli abitanti della Venezia storica sono la metà di quelli della terraferma, e la loro forza elettorale, trascurabile, non permette loro di esprimere i propri amministratori, né di condizionarne il comportamento.

Pertanto gli ultimi abitanti della Venezia storica possono essere impunemente trattati come delle fastidiose presenze senza diritto di lamentela, la cui esistenza impedisce il completo e capillare sfruttamento turistico della “città più bella del mondo”.

Da ciò discende una frustrazione che vede nell’autonomia amministrativa, rappresentata dalla vittoria del SÌ nel prossimo referendum, la speranza di riappropriarsi del valore del proprio voto e della propria città.

Certo non sarà sufficiente, sarà solo il punto di partenza, perché l’autonomia da sola non genera buoni amministratori.
Ma almeno garantirà che saranno scelti da una comunità cui questi dovranno rendere conto, e permetterà di sostituirli alle elezioni successive
se non dovessero dimostrarsi all’altezza del compito.
Esattamente come avviene in qualunque città del mondo, dove un Sindaco non si sognerebbe mai di dire “se non ti sta bene, vai via”, ma dove invece, se è il Sindaco che non va bene, è LUI che deve andarsene.

Stefano Croce

(foto: Marco Gasparinetti)

 

Lettera aperta al Ministro Bonisoli

Si applichi subito il vincolo culturale al porto della Serenissima

In tutti i dipinti del 17° e 18° secolo che ritraggono il Molo di fronte a Palazzo Ducale è ben evidente un’imbarcazione a remi coperta con tiemo (telo) e prua rivolta alla sede del Governo (nell’immagine: il dipinto di Gaspare Van Vitelli 1697). Si tratta della fusta del Consiglio dei Dieci ossia di una galea di piccole dimensioni che, oltre ad avere il ruolo di punto di prima raccolta dei condannati al remo, era pronta in qualsiasi momento per difendere, anche con i suoi pezzi d’artiglieria, la stabilità dello Stato. Non è strano che una presenza del genere caratterizzi il panorama del Bacino di San Marco per tutta l’età moderna; il palazzo del governo di una Repubblica che si estendeva fino a Candia, costruito di fronte all’acqua, non poteva infatti che essere difeso da una nave militare, la massima espressione bellica del tempo.

Il Bacino di San Marco, forse già dal 9° secolo e fino a tutto il Settecento, fu il porto della Serenissima ospitando imbarcazioni locali e straniere di ogni genere. Le due colonne, come noto, seguendo un modello bizantino, simboleggiano l’ingresso alla città perché dal porto appunto si entrava nelle città di mare.

La splendida e fedelissima prospettiva a volo d’uccello di Jacopo De Barberi, del 1500, mostra in maniera chiarissima la vitalità del Bacino dove sfociava il rio dell’Arsenale da cui, fino al Settecento, uscivano le galee costruite e armate nel più famoso cantiere navale del Mediterraneo, dove, lungo l’attuale Riva Sette Martiri, erano collocati cantieri per la costruzione di navi tonde e dove, alla fonda, erano ormeggiate galee e navi da carico e dove transitavano continuamente barche di ogni tipo. Questa dimensione portuale e di importante via d’acqua, ormai in buona parte perduta, era integrata non solo dal Canal Grande ma anche dal Canale della Giudecca lungo le cui fondamenta erano insediati altri cantieri di barche (squeri) ed erano ormeggiate imbarcazioni e zattere impegnate specialmente nel trasporto di merci e legname arrivati dalla terraferma alle Zattere, appunto, per le vie d’acqua interne. La Punta della Dogana, ossia l’edifico triangolare tra Canal Grande e Canale della Giudecca, ospitava la dogana delle merci e, poco oltre, lungo le Zattere, le possenti tese dei Magazzini del Sale fino al Novecento hanno accolto per secoli i depositi del sale trasportato con le navi.

Questa dimensione squisitamente portuale del Bacino di San Marco può dirsi ridimensionata solo nel pieno Ottocento quando il porto di Venezia si sposta sempre più, e gradualmente, verso la terraferma, come ci insegna Massimo Costantini nel suo “Porto Navi Traffici a Venezia 1700-2000”; ma per il Canale della Giudecca questo ruolo portuale non solo non verrà meno ma si rinforzerà ospitando, per tutto l’Ottocento, navi di ogni tipo e imbarcazioni da carico e da pesca come i trabaccoli e i bragozzi del popolo di pescatori chioggiotti che, fino alla metà del Novecento, trovavano a Venezia, e proprio lungo le Zattere, il mercato più importante per lo smercio del loro pesce o di altre mercanzie, come il sale appunto.

La narrazione del Bacino di San Marco come porto e quindi ingresso urbano della più longeva Repubblica della storia potrebbe proseguire all’infinito perché nelle sue acque hanno ormeggiato e sono transitate imbarcazioni che hanno fatto la storia del Mediterraneo, e non solo, per dieci secoli.

Eppure, questa relativa ovvietà, che chiunque conosca le basi della storia di Venezia da come scontata, non sembra sufficiente al Comune di Venezia che ha voluto opporsi al vincolo culturale che finalmente – ma ci chiediamo perché si sia aspettato tanti anni … – questo 31 gennaio, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, attraverso la sua soprintendenza locale, ha posto su questa via d’acqua rinforzando drasticamente quello che, fino a quel momento, era solo un vincolo paesaggistico. Le motivazioni dell’impugnazione si basano infatti sulla negazione dell’importanza culturale del Bacino e, in particolare, della negazione di questo spazio come via d’acqua storica a favore del solo vincolo paesaggistico in un tentativo quindi, piuttosto palese, di bloccare un’operazione statale di rafforzamento dello strumento vincolistico su questa area della città.

Il Codice dei Beni Culturali infatti, su cui si basa il vincolo ministeriale, effettivamente presenta una clamorosa lacuna ossia la menzione delle vie d’acqua come possibile paesaggio/manufatto di interesse storico-culturale. Il MIBAC, d’altra parte, ha giustamente respinto il ricorso confermando che: “i bacini, i canali ed i rii storici di Venezia, sui quali peraltro si affacciano importantissimi monumenti del patrimonio architettonico della città, sono vie d’acqua che potrebbero essere riconducibili alle ipotesi di cui all’art. 10, comma 4, lett. G) del Codice” ossia quali “pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse storico o artistico”. “Le parole del Legislatore non consentono, infatti, di escludere le vie e gli spazi che siano costituiti da corsi d’acqua” riconoscendo nella spazio dei canali urbani e dei circostanti edifici monumentali un “insieme e un tutt’uno indivisibile”… “punti eminenti della riconoscibilità materiale ed identitaria di Venezia”. Il MIBAC quindi ha non solo esteso l’interpretazione della definizione di via alle “vie d’acqua”, ma ha anche richiamato e rivendicato un concetto di visione complessiva del paesaggio culturale composto non solo dai monumenti e dalle piazze ma anche dagli specchi d’acqua secondo una moderna concezione del bene culturale. In realtà il MIBAC avrebbe potuto anche argomentare l’opportunità del vincolo richiamando la funzione storica del bacino, da noi appena presentata, ossia la funzione portuale e di porta urbica esercitata per un millennio.

Non paga però l’amministrazione comunale di Venezia, per iniziativa dell’assessore Paolo Romor, a fine marzo ha minacciato (e supponiamo concretizzato) un ricorso al TAR per ribadire l’opposizione al decreto del MIBAC anche se con motivazioni ora di tipo gerarchico. L’assessore Romor infatti ha dichiarato che “i provvedimenti del Mibac rappresentino una pesante, inutile ed inefficace invasione nelle competenze che altrimenti, e di regola, sarebbero attribuite al Comune per la tutela degli interessi dei residenti.”

Ora, dopo il gravissimo incidente e mancato disastro navale della Marittima e il successivo scampato secondo disastro del 7 luglio, le parole del Primo cittadino, che si erge improvvisamente a paladino della difesa di San Marco e a primo sostenitore della necessità di estromettere le navi dal Bacino, appaiono certamente benvenute ma quanto mai sorprendenti e contraddittorie rispetto alla guerra contro il decreto MIBAC dichiarata dal suo fedele assessore.

Se quindi l’amministrazione di questa città non riesce a cogliere il valore culturale attribuibile al porto storico di Venezia non possiamo che accogliere, a braccia aperte, il decreto del Ministro Bonisoli a cui chiediamo che, per il tramite del suo Soprintendente, applichi ora la nuova normativa pretendendo la salvaguardia di questo spazio urbano nella sua interezza.

Chiediamo quindi che vengano escluse immediatamente navi di tonnellaggio superiore alle 40.000 tonnellate di stazza lorda – applicando quindi il ragionevole decreto Clini-Passera – che, con il loro impatto visivo e ambientale offendono la città storica e con la loro stazza incontrollabile, dato oramai accertato, se mai ce n’era bisogno, dai recenti drammatici fatti (queste navi hanno poca deriva – per poter entrare in ogni porto-, un’enorme superfice esposta al vento – per aumentare il numero delle cabine – e un baricentro altissimo che le espongono allo scarroccio e le rendono instabili), possono in qualsiasi momento mettere a repentaglio l’incolumità di fondamenta e palazzi e della stessa Piazza San Marco con i suoi preziosi e unici monumenti. La mancata applicazione in questi termini del vincolo non solo apparirebbe a tutti come una beffa ma potrebbe configurarsi come una grave omissione che, almeno in termini morali, nessun veneziano, ma forse non solo, potrebbe comprendere e accettare.

Carlo Beltrame

Insegna Archeologia marittima all’Università Ca’ Foscari di Venezia

Appello ai sindaci di Firenze e Venezia

NB per sottoscrivere l’appello, potete lasciare un vostro commento di adesione su questa pagina oppure scrivere a: dilloaprogettofirenze@gmail.com

“Summary record”, l’appello in sintesi:

1) DIECI CITTÀ EUROPEE CHIEDONO AL PARLAMENTO E ALLA NUOVA COMMISSIONE UE DI OPERARE CONCRETAMENTE A SOSTEGNO DEL LORO SFORZO DI REGOLAMENTARE LA DIFFUSIONE INCONTROLLATA DEGLI AFFITTI BREVI.

2) COME ASSOCIAZIONI e come CITTADINI DI FIRENZE E VENEZIA CHIEDIAMO AI NOSTRI SINDACI DI DI ADERIRE PRONTAMENTE ALL’APPELLO DEI LORO OMOLOGHI EUROPEI

Firenze e Venezia, 21 giugno 2019

È notizia di questi giorni che le Amministrazioni di dieci città europee (Amsterdam, Barcellona, Berlino, Bordeaux, Bruxelles, Cracovia, Monaco, Parigi, Valencia e Vienna) hanno diffuso un comunicato congiunto al Parlamento europeo e alla Commissione UE per chiedere di poter regolamentare le piattaforme che pubblicizzano affitti brevi sul web, in modo da obbligarle a cooperare con le amministrazioni locali e nazionali e ottemperare alle normative in essere o “in fieri” riguardo la registrazione, la messa a disposizione dei dati dei locatori e l’imposizione di eventuali obblighi fiscali.
L’iniziativa è scaturita in seguito al parere non vincolante espresso dall’avvocato generale della Corte di Giustizia europea per il quale, secondo i regolamenti e le direttive della UE, Airbnb dovrebbe essere considerato un fornitore di informazioni digitali piuttosto che un agente immobiliare tradizionale. Se questo status fosse riconosciuto dalla Corte, le piattaforme online per gli affitti brevi sarebbero sollevate dal dovere di ottemperare alle normative introdotte da varie città europee per regolamentare le locazioni brevi e contenere la gentrificazione turistica di interi quartieri e città.

Le scriventi associazioni e persone fisiche, impegnate nella difesa delle città d’arte e di chi ci vive, chiedono ai Sindaci di Firenze e di Venezia, i cui residenti sono confrontati agli stessi problemi, di aderire prontamente all’appello dei loro omologhi europei.

Per facilitare la comprensione del testo, ne alleghiamo alla presente una traduzione in italiano.

I primi 200 firmatari:

  1. Associazione Progetto Firenze
  2. Associazione 25aprile Venezia
  3. OCIO – Osservatorio CIvicO indipendente
    sulla casa e sulla residenza – Venezia
  4. SUNIA (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini ed Assegnatari) Firenze
  5. Barbara Colli
  6. Giuseppe Saccà
  7. Gianfranco Bettin
  8. Claudio Vernier
  9. Grazia Galli
  10. Massimo Lensi
  11. Emanuele Baciocchi
  12. Cristiano Imperiali
  13. Maria Milani
  14. Filippo Maria Paladini
  15. Marco Sigovini
  16. Lorenzo Dorigo
  17. Fulvio Orsenigo
  18. Isabella Campagnol
  19. Eleonora Palma
  20. Frank Duse
  21. Michele Catozzi
  22. Matteo Savini
  23. Gabriella Ceciliati
  24. Luca Cosmo
  25. Antonella Forte
  26. Carlotta Borasco
  27. Gloria Busetto
  28. Barbara Rossi
  29. Silvia Patron
  30. Paolo Maria Fornelli-Grasso
  31. Alberto Olivi
  32. Sabina Schiavuta
  33. Franca Pullia
  34. Maria Vittoria Novati
  35. Oriano De Palma
  36. Francesco Ceselin
  37. Francesco Molinari
  38. Franca De Col
  39. Lucia Gottardo
  40. Carla Sitran
  41. Carlo Battain
  42. Stefano Seri
  43. Francesco Vian
  44. Adriano Kraul
  45. Anna Mussita
  46. Serge Turgeon
  47. Maddalena Borasio
  48. Vincenzo Procopio
  49. Francesca Boldrin
  50. Francesca Dissera
  51. Lucio Radich
  52. Veronica Scarpa
  53. Claudia Gottardo
  54. Francesco Di Pumpo
  55. Lorena Culloca
  56. Andrea Sartori
  57. Mara Marini
  58. Catherine Bertrand
  59. Elena Prem Menegazzi
  60. Sandra Martin
  61. Marina Bellemo
  62. Giovanna Massaria
  63. Stefania Orio
  64. Cristina Vitturi Di Este
  65. Annalisa Scarpa
  66. Alessandra Vitalba
  67. Gino Mario De Faveri
  68. Maria Teresa Sega
  69. Rubens Gebbani
  70. Aleramo Paolo Lanapoppi
  71. Flavia Antonin
  72. Dario Vianello
  73. Nicoletta Frosini
  74. Marco Gasparinetti
  75. Luca Velo
  76. Stefano Bravo
  77. Donata Olivieri
  78. Andrea Falchi
  79. Comitato Possibile Venezia Metropolitana “Mirelle Franco”
  80. Pamela Ann Mosher
  81. Marco Nogara
  82. Nicolò Nogara
  83. Variola Foscarina
  84. Gianpaolo Fallani
  85. Alessandro Bressanello
  86. Gabriella Barina
  87. Francesco Foschi
  88. Adele Stefanelli
  89. Francesca Ranieri
  90. Stefano Varponi
  91. Paolo Della Corte
  92. Serena Guidobaldi
  93. Elena Riu
  94. Dubravko Garbin
  95. Mary Ann DeVlieg
  96. Valentina I. Biaggini
  97. Andrea Sbordone
  98. Maria Mian
  99. Marilì Rebagliati
  100. Bruno Bonisiol
  101. Orsola Frosini
  102. Chiara Masiero Sgrinzatto
  103. Stefania De Vido
  104. Daniela Godenzi
  105. Cristina Romieri
  106. Carlo Beltrame
  107. Giuseppe Tattara
  108. Dora Meo
  109. Loredano Tessitore
  110. Philip Tabor
  111. Franco De Marchi
  112. Antonella Molinari
  113. Valerio Vianello
  114. Stefano Barina
  115. Angela Colonna
  116. Barbara Zanetti
  117. Alessandra Sambo
  118. Alessandra Pirani
  119. Davide Barbato
  120. Rita Cormio
  121. Marina Cosma
  122. Gina Di Cataldo
  123. Lorenzo Manenti
  124. Mauro Magnani
  125. Marilena Rossetto
  126. Angela Pasculli
  127. Enzo Castelli
  128. Nicole Boldrin
  129. Marco Ziliotto
  130. Marco Smerghetto
  131. Enrico Cambrisi
  132. Elena La Rocca
  133. Simone Gabbia
  134. Elena Ferrata
  135. Marina D’Este
  136. Francesco Cesca
  137. Maria Angelopulou
  138. Alessandra Gregorini
  139. Matteo Cattelan
  140. Serena Badoer
  141. Alessandra Vitalba
  142. Gino Mario De Faveri
  143. Irene Pizzoccaro
  144. Aurora Franzone
  145. Orietta Bellemo
  146. Pietro Raccanelli
  147. Orsetta Rocchetto
  148. Giorgio Sinapi
  149. Silvia Puppini
  150. Massimo Rioda
  151. Serena Sabino
  152. Daniela Adami
  153. Anna Maria Fanciulli
  154. Cristina Santullo
  155. Anna Marin
  156. Marina Dragotto
  157. Alessandro Azzolini
  158. Barbara Rè
  159. Martina Cioffi
  160. Silvia Rago
  161. Francesco Pasquale
  162. Andrea D’Este
  163. Federico Permutti
  164. Ines Brentel
  165. Umberto Zani
  166. Giulia Berta
  167. Aldo Mingati
  168. Paul Medhurst
  169. Lorenzo Marchionno
  170. Matteo Latorre
  171. Ana Martins
  172. Maddalena Gemma
  173. Antony Baxler
  174. Cathie Geraci
  175. Tullio Galfrè
  176. Barbara Poli
  177. Laura Sousounis
  178. Michelle A. Laughran
  179. Lorenzo Calvelli
  180. Paola Placentino
  181. Elisabetta Neri
  182. Anna Poli
  183. Sandra Cianchi
  184. Elisa Medici
  185. Liana Bastianello
  186. Luigi Verdari
  187. Fabio Dalla Valle
  188. Corrado Teofili
  189. Marilanda Bianchini
  190. Stefania Rizzardo
  191. Franca Favaro
  192. Enzo Castelli
  193. Alessandra Regazzi
  194. Agata Chrzanowska
  195. Armando Pajalich
  196. Dmitrij Palagi
  197. Gabriele Panerai
  198. Gabriella Ceciliati
  199. Lorella Grecu
  200. Vincenzo Procopio
  201. Alice Corona
  202. Gabriella Bianco
  203. Mirella Conca
  204. Magda Conca
  205. Vilma Conca
  206. Maurizio Storai
  207. Veronica Galardini
  208. Filippo Zolesi
  209. Giulia  Princivalli
  210. Anna Favi
  211. Leonardo Croatto
  212. Donella Verdi
  213. Carlotta Galletti
  214. Laura Torsellini
  215. Francesco Torrigiani
  216. Tommaso Grassi
  217. Graziella Santoro
  218. Lucio Tondo
  219. Marco Rispoli
  220. Roberto Di Loreto
  221. Guido Carrai
  222. Giuseppe Amato
  223. Agata Chrzanowska
  224. Alessandro Roffi
  225. Antonio Munari
  226. Marina Munari
  227. Comitato Firenze Possibile “Piero Calamandrei”
  228. Susanna Iraci
  229. Giuseppe Fasulo
  230. Mauro Santoni
  231. Adolfo Guadagni
  232. Tatiana Fusari
  233. Leonardo Comin
  234. Catia Porri
  235. Alberto Barberis
  236. Assemblea Comunale dei Verdi di Firenze
  237. Franca Baccelloni
  238. Paolo Brunori
  239. Francesco Borghero
  240. Loretta Pagani
  241. Michele Migliori
  242. Antonella Bundu
  243. Alessandro Zabban
  244. Mirco Zanaboni
  245. Massimo Bellomo
  246. Federico Sereni
  247. Stefania Brunini
  248. Margherita Biagini
  249. Fabio Podestà
  250. Anna Ippolito

.. .. lista in corso di aggiornamento!

Nella foto: la nostra sede in campo de la Bragora, dove raccoglieremo altre firme in occasione della festa in campo, sabato e domenica.

Bragora 4

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Il comunicato stampa delle dieci città in inglese:

European cities believe that homes should be used first and foremost for living in. Many cities suffer from a serious housing shortage. Where homes can be used more lucratively for renting out to tourists, they disappear from the traditional housing market, prices are driven up even further and housing of citizens who live and work in our cities is hampered.

Cities must protect the public interest and eliminate the adverse effects of short term holiday rental in various ways. More nuisances, feelings of insecurity and a ‘touristification’ of their neighbourhoods is not what our residents want. Therefore (local) governments should have the possibility to introduce their own regulations depending on the local situation.

For this, we need strong legal obligations for platforms to cooperate with us in registration-schemes and in supplying rental-data per house that is advertised on their platforms.

Platforms like Airbnb have exact rental data and they provide numerous services to guide the supply, simplify the process and influence the prices. Yet, according to the AG’s opinion, they would have no obligation at all to provide municipalities with information about the rentals to help them prevent violations of local or national regulations, for instance on the maximum number of days allowed. Enforcement would be for the authorities concerned alone, which have to identify anonymous addresses (data held by platforms), which places an excessive burden on public funds.

Where platforms claim that they are willing to cooperate with the authorities, in practice they don’t or only do so on a voluntary basis.

One thing must be clear: A carte blanche for holiday rental platforms is not the solution.

We will continue to address the housing shortages in our cities and continue to ensure that our cities remain livable. We sincerely hope for the cooperation of the new European Parliament and the incoming European Commission.

Traduzione:

Le città europee ritengono che le case dovrebbero essere utilizzate prima di tutto per viverci. Molte città soffrono di una grave carenza di alloggi. Laddove le case possono essere utilizzate in modo più redditizio per l’affitto ai turisti, scompaiono dal tradizionale mercato immobiliare, i prezzi salgono ulteriormente e le possibilità abitative per i cittadini che vivono e lavorano nelle nostre città sono compromesse.
Le città devono proteggere l’interesse pubblico ed eliminare gli effetti negativi degli affitti di breve termine in vari modi. Più disagi, sentimenti di insicurezza e la turistificazione dei loro quartieri non è ciò che vogliono i nostri residenti. Pertanto i governi (locali) dovrebbero avere la possibilità di introdurre i propri regolamenti in base alla situazione locale.
Per questo, abbiamo bisogno di forti obblighi normativi affinché le piattaforme cooperino con noi nei regimi di registrazione e nella fornitura di dati delle inserzioni per le locazioni pubblicizzate sulle loro piattaforme.
Piattaforme come Airbnb hanno dati precisi sulle locazioni e forniscono numerosi servizi per guidare l’offerta, semplificare il processo e influenzare i prezzi. Tuttavia, secondo il parere dell’AG, non avrebbero alcun obbligo di fornire ai Comuni informazioni sugli affitti per aiutarli a prevenire le violazioni delle normative locali o nazionali, ad esempio sul numero massimo di giorni consentiti.
Laddove le piattaforme sostengono di essere disposte a collaborare con le autorità, in pratica non lo fanno, o lo fanno solo su base volontaria.
Una cosa deve essere chiara: concedere carta bianca alle piattaforme di pubblicizzazione degli affitti brevi non è la soluzione.
Continueremo ad affrontare la carenza di alloggi nelle nostre città e continueremo a garantire che le nostre città rimangano vivibili. Speriamo sinceramente nella collaborazione del nuovo Parlamento europeo e della Commissione europea entrante.

Further background information

In a case at the Regional Court in Paris, involving AIRBNB Ireland, the investigating judge decided to refer to the EU Court of Justice to ask for a preliminary ruling on whether the services provided in France by AIRBNB Ireland, benefit from the freedom to provide services, laid down by the so called E-commerce Directive of the European Union.

The Advocate General’s opinion on this to the Court (published April 30, 2019) is affirmative to this question.

This will have, we fear, one major implication: Homes needed for residents to live and work in our cities, will become more and more considered as a market for renting out to tourists. We think that cities are best placed to understand their residents’ needs. They have always been allowed to organize local activities through urban planning or housing measures. The AG seems to imply that this will simply no longer be possible in the future when it comes to Internet giants.

The threats and risks for the social and livable configuration of our cities are evident.

Traduzione:

In un caso sollevato presso il tribunale regionale di Parigi, che coinvolge AIRBNB Irlanda, il giudice istruttore ha deciso di adire la Corte di giustizia della UE chiedendo una sua pronuncia pregiudiziale in merito alla questione se i servizi forniti in Francia da AIRBNB Ireland beneficino della libera prestazione di servizi, previsto dalla cosiddetta direttiva sul commercio elettronico.
L’opinione espressa su questo argomento dall’Avvocato Generale alla Corte (pubblicata il 30 aprile 2019) è che la risposta a questa domanda è affermativa.
Il nostro timore è che questo avrà la seguente implicazione: le case necessarie ai residenti per vivere e lavorare nelle nostre città, diventeranno sempre più oggetto del mercato per l’affitto ai turisti. Riteniaamo che le città siano nella posizione migliore per comprendere le esigenze dei loro residenti.
È sempre stato nella loro possibilità intervenire per organizzare le attività locali attraverso la pianificazione urbana o misure abitative. L’opinione dell’Avvocato Generale sembra implicare che d’ora in avanti, quando si tratta dei giganti del web, questo non sarà più possibile.
Le minacce e i rischi per la configurazione sociale e vivibile delle nostre città sono evidenti.

Rassegna stampa:

The Guardian 20 giugno 2019

https://www.theguardian.com/cities/2019/jun/20/ten-cities-ask-eu-for-help-to-fight-airbnb-expansion?CMP=share_btn_fb&fbclid=IwAR2qrCG0SpSsdabc19oNDvY-wHlAc-k-EjgMrbMMDWtUnoge–DQbqC6lLw

 

 

Tassa di sbarco: il parere di Domenico Cardone

Il testo di regolamento approvato a maggioranza dal Consiglio comunale che doveva essere concepito unicamente come tassa “di sbarco”, di ingresso a soli fini turistici, a Venezia e isole, è scopertamente una plateale mostruosità giuridica, una beffa inaccettabile rivolta cinicamente a noi, veneziani e residenti.

Per quanto nulla si specifichi ancora del come lo si applicherà controllando e sanzionando (e questo la dice lunga anche sull’irresponsabile approssimazione dell’atto dato che ne dovrebbe costituire aspetto inscindibile) appare a tutti evidente che, anziché trovarci sostenuti in una quotidianità che ogni giorno si è fatta più difficile, ci troveremo ulteriormente condizionati e vessati sotto diversi profili, non ultimo quello economico.Il vizio fondamentale di questa formulazione sta nel fatto che si è persa completamente la bussola dello scopo originario. E lo si comprende proprio considerando la strampalata casistica di esenzioni o riduzioni previste da cui emerge chiaramente la contraddizione di un operare a spanne nell’attribuire valore o meno ai motivi per cui si mette piede in città.

In pratica, ciecamente (ma con risultati che solleveranno – altro che solidarietà! – l’amaro sarcasmo del mondo intero toccandosi persino riti basilari della vita umana, come il festeggiare un matrimonio o il compiangere un morto, considerati meno… di una partita di calcio al Sant’Elena…!) vengono messi sullo stesso piano il vero e proprio turista “mordi e fuggi”, che entra per approcciare unicamente le bellezze dell’urbe storica, e le persone da noi sollecitate a farci visita per le più diverse ragioni, magari che ospiteremo in casa, persone che dovrebbero sottoporsi a gabella solo perché nella condizione di avere la (disgraziata) ventura di non appartenere per nascita o residenza all’immaginifica “Land of Venice”.
Poiché dal Veneto proviene il 90% del turismo giornaliero non pernottante, se il presidente Zaia avesse voluto dimostrare di avere davvero a cuore la città avrebbe dovuto sostenere la causa di un sacrificio indistinto per tutti a favore degli extracosti di gestione, monumentale ed ambientale, che la perla del Veneto non è più in grado di sopportare dignitosamente. Così avremmo almeno potuto disporre di un capitale collettivo, investibile non solo in lavori e servizi pubblici ma anche, attraverso contributi al restauro, nella manutenzione privata delle nostre abitazioni di cui è costosissimo, per specifici fattori naturali, il mantenimento. Invece non l’ha fatto, chiaramente per miopi calcoli elettorali.

Brugnaro da parte sua, invece di rivendicare un’autonomia di scelta che come primo cittadino avrebbe dovuto esercitare per il bene e il futuro della città amministrata, ha supinamente e stoltamente accettato quell’esenzione capestro (decine di milioni perduti dalle casse comunali); infine, la cieca avidità di far cassa comunque, non bastandogli più i limitati turisti paganti, lo ha portato all’idea di metter mano pesantemente sul portafoglio anche dei conoscenti e parenti dei suoi stessi concittadini. Sì, perché questo regolamento interferisce (peggio che in una riserva indiana) su basilari diritti personali e di cittadinanza. Lede principi costituzionali, non solo riguardanti libera circolazione e privacy, ma anche libertà di associazione ed espressione, arrivandosi a ipotizzare che debbano soggiacervi persino le manifestazioni politiche.

Ma, fondamentalmente, questo regolamento invasivo oltre ogni assennato limite, si palesa come una tassa sulle nostre relazioni sociali, affettive, culturali, progettuali. Sulle amicizie coltivate vivendo la rara gioia di incontrarsi con qualche compagna o compagno che vive lontano, sugli amori, la creatività, lo studio, la ricerca, la conoscenza, l’attività associazionistica gratuita, il volontariato non a fini di lucro…, che sono valori senza prezzo ma anche economia immateriale, e non sono affatto ristretti (in una città a vocazione internazionale!) alla sola cerchia dei veneti.
‘Turista’ è chi visita Venezia. Chi visita, per qualunque ragione privata e non commerciale, i veneziani, non lo è. E’ semplicemente un amico, un’amica, la cui preziosità non può valere meno di un cliente che venga in città per lavoro.
Che si faccia un passo indietro. Subito! O che nasca un Comitato di difesa pubblica. Subito!

Domenico Cardone (esperto in sistemi culturali e formativi)

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Faraonate virtuali del sindaco e città reale

Venezia si ritrova con un sindaco che oggi, nella conferenza stampa di fine anno, ha pomposamente annunciato:

a) semafori e telecamere nelle nostre calli, come se fossimo a Milano e come se questa fosse una soluzione quando i flussi turistici vanno invece regolati a monte e non “a valle” (piazza San Marco) con trovate folkloristiche buone soltanto per buttare i soldi del contribuente al vento;

b) un faro “Ramses 2” che produrrà “un fascio di luce alto 12 chilometri, perché” – ha testualmente spiegato nel comunicato stampa ufficiale – “Porto Marghera si deve vedere e va proiettata in un futuro di crescita e sviluppo”.

Il senso delle priorità di chi vive e lavora a Venezia è ben diverso, si chiama vita reale. I nostri iscritti hanno votato un sondaggio interno con queste richieste:

  1. Destinare risorse alla residenzialità, cosa che finora non è stata fatta;
  2. Smetterla di vendere i beni comuni;
  3. Bloccare l’apertura di nuovi alberghi;
  4. Stabilire una soglia di carico per il numero di turisti che possiamo accogliere;
  5. Prendere misure concrete contro il moto ondoso che sgretola le nostre rive;
  6. Contrastare la chiusura di botteghe artigiane e negozi di prossimità;
  7. Migliorare il servizio di trasporto acqueo che è al collasso.

Ci sfuggono invece l’urgenza e l’importanza delle grandi innovazioni oggi annunciate dal sindaco e il costo del faro “Ramses” per la collettività, nello stesso giorno in cui l’ANSA ci annuncia questa stangata di Capodanno, con bollette in rialzo del 5%:

http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2017/12/29/gas-e-luce-aumento-del-5-53-a-gennaio_ca4f2512-ddff-429a-8e6d-7fcbe6bd7f55.html

Al sindaco che ci vuol rifilare (a spese nostre) un sontuoso faro con il nome di un faraone, diciamo semplicemente:

basta fanfaronate o faraonate, i problemi che attendono risposta sono ben altri: lasci perdere il suo faro d’Egitto e cominci ad occuparsi dei problemi veri.

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