Sant’Andrea 30 gennaio: l’intervento di Lidia Fersuoch
Atti dell’incontro pubblico del 30 gennaio
La relazione introduttiva di Lidia Fersuoch (Presidente Italia Nostra, sezione di Venezia)
Lunedì doveva essere discussa in Consiglio comunale la proposta di delibera riguardante – cito – «il trasferimento in proprietà al Comune di Venezia dei complessi immobiliari dello stato denominati “Isola della Certosa” e “Forte di Sant’Andrea”». Beni che il comune dice – cito ancora – «strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali» e per i quali lo stesso comune «ritiene possibile un loro recupero nel tessuto urbano». Fin qui nulla da eccepire, anzi!
Come avviene però la cessione da parte dello Stato? Secondo il decreto legge 85/2010 che «disciplina le modalità di attribuzione» agli enti territoriali «di beni di proprietà dello Stato»: i beni immobili di interesse culturale possono essere trasferiti in proprietà a enti territoriali che ne facciano richiesta «nell’ambito di specifici accordi di valorizzazione e dei conseguenti programmi e piani strategici».
L’Accordo di Valorizzazione per il passaggio al Comune dell’Isola della Certosa e del Forte di Sant’Andrea, esiste ed è stato sottoscritto dal Mibact (rappresentato dall’arch. Codello, che è tornata a Venezia come Segretario regionale), l’Agenzia del Demanio e il Comune di Venezia, rappresentato dal vicesindaco Colle. Con l’Accordo, cito, «il Comune … si impegna … a realizzare integralmente i Programmi di Valorizzazione». I Programmi (per la Certosa e per S. Andrea), che sono definiti parte integrante dell’accordo stesso, hanno anche Integrazioni al 2015.
Quindi la proposta di delibera non riguarda solo «il trasferimento in proprietà al Comune di Venezia di Certosa e Sant’Andrea: approvando la delibera, il Consiglio comunale approva l’Accordo di Valorizzazione e tutti i Programmi di Valorizzazione.
Italia Nostra e le tutte le altre associazioni hanno chiesto di rinviare la discussione. Lunedì la delibera non è stata discussa per mancanza di numero legale.
Ma vediamo velocemente i punti inaccettabili del Programma di Valorizzazione (e dell’Integrazione) di S. Andrea.
Per trovare la copertura finanziaria al progetto, il comune prevede «il ricorso alla finanza di progetto, concessione in valorizzazione o affidamento per la realizzazione e gestione» individuando il «partner privato» con una «procedura di evidenza pubblica» (allegato C3, p. 12).
Gara pubblica dunque, com’è ovvio che sia, ma … al punto 6.4.4. del programma si dice: «il progetto è strettamente legato al progetto di valorizzazione della Certosa, quali compendi complementari e strettamente interconnessi tra di loro. Senza il complesso della Certosa, infatti, quello dell’isola di Sant’Andrea pare di difficile realizzazione». E ancora: «Il Presente PEF prevede che le attività di organizzazione dell’Isola di S. Andrea siano gestite attraverso le strutture della vicina Isola della Certosa» (C3, p. 16).
Legare in maniera definitiva le due isole rischia tuttavia di precostituire l’esito di una futura procedura ad evidenza pubblica, minando i principi del Trattato CE che impongono all’Amministrazione «di operare con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, mercé l’utilizzo di procedure competitive selettive». Nell’eventualità che venisse approvato la proposta di delibera si aprirebbe la strada a un ricorso al Tar.
Nel Programma, si dice che queste pattuizioni con il soggetto privato sono «a beneficio della collettività» (C3, p. 17). Vediamo questi benefici per la collettività.
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Le Integrazioni del 2015 prevedono un cronoprogramma degli interventi: divisi da un discrimen molto pesante:
Gli interventi a breve e medio termine (3/5 anni), per un costo stimato di 1 milione di euro, sono a carico del soggetto privato che si aggiudicherà la gara e prevedono:
progettazione dell’intervento di “messa in sicurezza”; analisi del rischio ai fini della bonifica bellica, caratterizzazione ed eventuale bonifica del suolo; conferimenti a discarica; messa in sicurezza di percorsi ed edifici, anche tramite demolizioni selettive; realizzazione di percorsi, illuminazione e cartellonistica; sfalci e riqualificazione delle aree verdi. Tutto qui. Non si prevede il Progetto per il recupero dell’isola, per il restauro del Forte, né tantomeno il restauro del forte stesso, ma neppure un ormeggio.
Tutti gli altri interventi, che sono a medio-lungo termine e a lungo termine (da 5 anni a, si presume, 25) sono dichiarati interventi di facoltà del partner per la sostenibilità socio economica del progetto cioè a esplicita discrezione del partner e in favore del partner, e «verranno realizzati solo ed in quanto verrà valutato economicamente conveniente e saranno reperite le necessarie risorse».
Tali Interventi di facoltà del partner per la sostenibilità socio economica del progetto non sono solo previsti nell’area demaniale oggetto dell’attuale richiesta del Comune ma interessano anche un’area alle spalle del Forte, tra questo e l’idroscalo Miraglia, ancora in gestione al Ministero della Difesa.
Gli interventi, essendo al di fuori dell’area in discussione non sono contemplati nel Programma di valorizzazione del 2015. Ma sono ben dettagliati invece nel Programma più vecchio, che sappiamo far parte integrante dell’Accordo di Valorizzazione che la Delibera in discussione al consiglio comunale approverebbe.
E che cosa contemplano?
2 alberghi (chiamati eufemisticamente Foresterie), una “residenza”, un centro benessere, e una piscina a filo d’acqua proprio alle spalle del limite del bastione nord, fronte Laguna.
Ma non è finita: nella proposta di delibera si prevede, cito: «di dare mandato ai competenti uffici comunali di rendere compatibile, ove necessario, la strumentazione urbanistica vigente ai Programmi di valorizzazione allegati alla presente delibera»: secondo i vigenti piani, strutture ricettive, piscina etc. non potrebbero essere realizzati, e dunque gli strumenti urbanistici si piegano dinnanzi ai programmi di valorizzazione! Ciò incarna quella “deregulation urbanistica” invocata da un soprintendente qualche anno fa.
Come per il Fontego, ma peggio del Fontego (almeno lì il Comune previo lo stravolgimento di un edificio importantissimo per la storia istituzionale di Venezia ottiene 6 milioni) qui si concede di tutto al privato per, cito, «minime operazioni di messa in sicurezza e le minime attività per rendere fruibile il forte e l’area anche per un iniziale parziale sfruttamento economico».
Cito ancora: «Il criterio organizzativo proposto vede coinvolto il gestore privato a cui affidare la conservazione valorizzazione socio-economica del bastione monumentale a fronte dello sfruttamento economico di un considerevole compendio di nuova edificazione nell’area di pertinenza del forte, verso nord» (C3, p. 17).
Cioè per «minime operazioni» e «minime attività» garantite gli si concede di costruire un considerevole compendio di nuova edificazione. e il resto a discrezione del privato che se vuole restaura il forte e se non gli conviene lo lascia così, per 25 anni.
Se poi facciamo bene i conti, le «minime operazioni» e le «minime attività» per un investimento obbligatorio di 1 milione, diviso i 25 anni di concessione, fanno 40 mila euro annui, cioè 3.333 euro al mese.
E’ possibile che l’Amministrazione cittadina voglia privare la città di tale bene, per una cifra così ridicola e a fronte di gravi, impattanti, umilianti nuove edificazioni?
Né si può invocare il beneficio della creazione di nuovi posti di lavoro: nella fase obbligatoria «Il corrispondente personale dedicato .. sarà di … 1 unità a regime. (C3, p. 16).
Questi sono i principali evidentissimi motivi per cui il Comune deve intervenire, sospendere la delibera e riprogettare i piani di Valorizzazione.
Ma per Italia Nostra il motivo principale, il peccato primigenio da cui discende tutto alla base di tali programmi, anche se fossero riformulati in forma conveniente per l’amministrazione, sta nella visione ristretta di un ennesimo programma di valorizzazione sostenibile soltanto con attività turistiche ricettive – di cui Venezia sta morendo.
Noi riteniamo che un serio programma di valorizzazione culturale – e non economica – di Sant’Andrea, simbolo del potere militare e marittimo della Repubblica, possa invece accedere a finanziamenti europei, e non per costruire nuovi alberghi ma per costruire un polo culturale, gestito dalla Fondazione musei. è pensabile non un generico museo della Laguna (che si farà altrove) bensì un museo della fortificazioni veneziane (che si apprestano a diventare sito Unesco). Con un progetto che coinvolga altri stati adriatici ove sono attestate fortificazioni veneziane, si può pensare di rientrare nell’obiettivo di “Cooperazione territoriale europea” e quindi ai fondi Interreg, che sono facilmente ottenibili.
E per questo è necessario un progetto unitario, uno sguardo lungo che abbracci e coinvolga tutte le fortificazioni veneziane, dalla Laguna all’immediato entroterra. Si tratta di un grandissima eredità e patrimonio culturale, che non può essere gestito in modo parcellizzato, senza una visione di insieme, come un problema, un fastidio, di cui sbarazzarci con sollievo il più presto possibile, affidandolo a un privato come con una cambiale in bianco.