Gruppo 25 aprile

Piattaforma civica (e apartitica) per Venezia e la sua laguna

Archivio per il giorno “novembre 29, 2019”

#Referendum primo dicembre: lettera agli amici di Mestre

Lettera aperta agli amici di Mestre e di Favaro, di Chirignago e Zelarino, di Campalto e Tessera.

Sono nato a Venezia 64 anni fa, mio padre gondoliere mio nonno gondoliere, i gondolieri di una volta quando per alcuni traghetti il maggior reddito veniva dal servizio di parada e con il turismo si lavorava poco. Con la gondola si portavano i clienti negli hotel e ancora si andava a Murano solcando le placide acque lagunari. Sono cresciuto passando molti dei miei giorni estivi in barca con mio padre seduto sul trasto di poppa guardando curioso i palazzi veneziani che a quel tempo mi sembravano enormi.

Quella Venezia era una meraviglia, un sogno calato dal cielo, una costruzione quasi utopistica che galleggiava sull’acqua e che dall’acqua traeva i ritmi lenti pacifici naturali; poco traffico a motore e tante barche a remi, tanti traghetti per attraversare “el canaeasso” dove ogni 10′ passava il vaporetto della inea 1; la gente era felice, tanta gente tanti negozi di vicinato in tanti microcosmi autosufficienti ognuno con la propria identità che componevano una città dove tanti bambini nei campi e nelle calli giocavano giocavamo spensierati e dove l’acqua alta autunnale, stagione senza turismo con una città quasi completamente deserta e chiusa, era l’occasione per divertirsi fuori da scuola, ci si accontentava con poco avevamo poco, ma eravamo felici e soprattutto sani.

Poi sulla spinta della modernizzazione poco a poco le cose cambiarono, un cambiamento accolto da tutti senza dubbi, trasportato sulle ali di carosello e dei bellissimi programmi televisivi. i mobili di formica riempirono le nostre case con gli oggetti di largo consumo fatti di Moplen materiale plastico ancora prodotto. Almeno lo avessero chiamato con il suo vero nome “polipropilene isotattico”, forse qualche dubbio a qualcuno sarebbe venuto, ma con moplen no un nome così semplice e carino doveva essere per forza una cosa bella. Così giorno dopo giorno ci siamo costruiti la gabbia dove imprigionarci il corpo e soprattutto la mente, dove la felicità aveva perso la sua spontaneità per identificarsi con il nuovo idolo il denaro – e in nome e per conto di questo idolo Venezia ha cominciato a mutare diventando anno dopo anno una sorta di monopoli planetaria per affaristi senza scrupoli senza patria senza storia e senza anima.

Mentre le classi sociali più deboli, gli ultimi, venivano spediti in terraferma in alloggi dormitorio simili ad alveari, in città questa mutazione veniva accettata da una larga parte della componente cittadina che ne traeva e ne trae profitto a scapito dell’altra parte quella che subisce. In nome del liberismo economico si è accettato uno “sviluppo” totalmente subordinato allo sfruttamento turistico che è diventata la principale unica e facile fonte di reddito di Venezia; piano piano gli squali dell’economia hanno tirato su la loro rete e improvvisamente ci siamo svegliati in un’altra Venezia, una città caotica dove lo stress da vita moderna imperversa. Masse di turisti ogni anno sempre più numerose e invasive si sono impossessate di ogni spazio vitale riducendo i residenti quasi a delle comparse di uno spettacolo decadente. I facili guadagni dati dal turismo hanno attratto imprenditori da ogni angolo del pianeta, stranieri stanziali che si sono sommati agli stranieri visitatori in un corto circuito economico dove una grossa fetta dell’economia esce ed entra sempre nelle stesse tasche lasciando a Venezia le briciole per una classe cittadina ormai inconsapevolmente o consapevolmente subalterna a giochi di potere gestiti altrove.

Il liberismo economico che ha scatenato una guerra economica dove c’è un solo vero sconfitto: Venezia. Venezia sferzata dal moto ondoso, consumata da milioni di piedi e mani, avvelenata dai gas di scarico, dove una volta si veniva per ammirarla e ora si viene per violarla in mille modi dai tuffi nei canali alle pisciate nelle calli, dai negozi di inutili cianfrusaglie alle locazioni turistiche di impossibili tuguri, una città tra le più inquinate d’Italia dove sono inquinati i fondali lagunari, inquinati i canali dove ancora sversano centinaia di condotti fognari, inquinati i terreni della gronda lagunare della zona industriale, inquinati i fiumi che del bacino scolante, inquinata l’aria dalle centinaia di transiti giornalieri di inquinatissimi motori diesel e dalle GrandiNavi, dove il traffico motorizzato imperversa quotidianamente, ma si impedisce la libera circolazione alle barchette tipiche e alle manifestazioni di protesta delle remiere.

Venezia trasformata da città ideale a gomorra del nuovo millennio; una città irriconoscibile dove oggi si vive meno felicemente e dove ci si ammala di inquinamento. Da molto tempo vivo in terraferma, ma mi ritrovo spesso a guardare vecchie foto familiari che ritraggono la Venezia del passato dove sicuramente la vita era più difficile, ma le persone erano sorridenti disponibili e si camminava con passo tranquillo; il pensiero va automaticamente al confronto con l’oggi e a pensare cosa sia accaduto, perchè oggi i veneziani non sorridono più sono poco accoglienti e camminano per la loro città con un andamento nevrotico cercando quasi una via di fuga tra centinia di ostacoli ostili. Dove e quando ci siamo persi? di chi sono le responsabilità?

Sicuramente da un certo momento in poi la politica locale ha smesso di occuparsi del bene comune, dei cittadini e alle piccole cose che determinano il vivere quotidiano di una città perdendo quel feeling che lega gli elettori agli eletti, si sono sposate a man bassa tutte quelle pratiche economiche legate a progetti di rilevanza economica e internazionale decisioni spesso fatte sulla testa dei cittadini, sulla pelle dei cittadini dove i benefici per pochi sono stati pagati da molti, pagati sotto forma di disastri ambientali, di distruzione del sociale e di riduzione drastica della residenzialità che a Venezia assume da tempo quasi le sembianze di una pulizia etnica vista la progressiva distruzione di una civiltà acquea millenaria, vivere in terraferma non è la stessa cosa.

Ora mi accorgo che da qualche tempo questa “peste” sta contaminando anche le aree della terraferma dove ovunque sorgono B&B e locazioni turistiche e dove è diventato diffcile trovare un appartamento in affitto. anche a Mestre chiudono i negozi e si iniziano a registrare quelle difficoltà nell’utilizzo dei servizi urbani di linea tipiche di Venezia causate da una eccessiva presenza turistica. La terraferma rischia di diventare un non luogo che serve solo allo sfruttamento turistico con la costruzione di enormi alberghi dormitorio che sono un trampolino di lancio per scaricare ancora migliaia di visitatori in una città già allo stremo. Mestre una città che si è sviluppata tra l’inquinamento di Porto Marghera a ovest e quello dell’aeroporto a est circondata da un passante autostradale dove forse transita il maggior flusso di traffico pesante d’Italia e forse d’Europa, un territorio dove le malattie oncologiche sono in forte espansione.

Oggi le mie due anime, quella insulare e quella di terraferma si sono messe d’accordo. Della politica e dei suoi bei discorsi non mi fido più, per troppo tempo ho atteso che le promesse diventassero realtà, anche l’autonomia dei due comuni non mi dà certezze, ma almeno mi dà speranze.

Certo è però che, in ogni caso, se i cittadini non si riappropriano del loro futuro per le comunità veneziana e mestrina non vedo un futuro roseo: abbiamo davanti le sfide portate dai cambiamenti climatici che per troppo tempo abbiamo sottovalutato e ora la natura ce lo ricorda a colpi di disastri che non guardano in faccia nessuno. Mestre deve ritrovare il suo spirito di città, e la mia Venezia non tornerà più però potremmo tornare a qualcosa di simile; qualcosa che ridia la voglia di vivere e restare ai giovani, che ridia il buon umore agli adulti, qualcosa che salvaguardi la salute di tutti.

Buona votazione qualsiasi sia la vostra scelta perchè dal 2 dicembre autonomisti e unionisti dovranno ritrovarsi per gestire al meglio la situazione che ci sarà per dare comunque una svolta positiva alla politica locale”.

Dario Vianello

nato a Venezia,

residente a Favaro Veneto

#Referendum primo dicembre: lettera ai margherini

Lettera agli amici di Marghera

Ciao, ho 60 anni e vivo a Venezia, dove sono nato. Da 15 anni lavoro a Mestre. E amo Marghera. Non lo so perché la amo. È nel DNA. 

Mio padre mi parlava spesso di Marghera. Mio nonno ci lavorava come falegname dopo che mia nonna lo aveva iscritto al Partito Fascista

Prima non poteva lavorare e lei non sapeva come sfamare i loro 7 figli. Da quel giorno lui non le parlò più fino alla morte.

Mi veniva descritto come “l’esilio”. Qualche domenica mi ci portava a passeggiare in mezzo al verde. Con la mozzarella finale in piazza Mercato.

Lui diceva cheMarghera è il settimo sestiere”, “di certo è più Venezia del Lido”. Pensa se lo avessero fatto! Il 7mo Sestiere.

Mio nonno e mio padre erano socialisti. Mio padre fino all’arrivo di Craxi. Io Comunista. Comunista di Berlinguer. 

E amavo il sindacato di Di Vittorio e di Lama. E questo con tutti gli errori commessi, ma ho sempre pensato che il PCI e la DC hanno creato una coesione sociale forte in questo paese. Si aveva riguardo e rispetto per gliultimi”. E li si aiutava.

Possiamo affermare senza paura di sbagliare che sia a Venezia, sia a Marghera che a Mestre, 30 anni fa si viveva meglio. E questo a prescindere dalla nostra condizione economica individuale.

Esisteva la coesione sociale. La cultura era in ogni luogo. Teatri amatoriali; ragazzi che avevano piccoli complessi; cinema diffusi. E avevamo i negozi sotto casa.

Se siamo sinceri con noi stessi, dobbiamo ammettere che per 30 anni abbiamo avuto una classe politica incompetente. Che ha governato senza un progetto, senza idee, ma, soprattutto senza ascoltare i bisogni della popolazione. Riducendo sempre più l’aiuto sociale e disgregando la comunità

Son convinto che Marghera abbia avuto delle parentesi felici con amministratori locali che erano superiori alla media.

Adesso hanno chiamato uno di Mogliano per celebrare il funerale. Non solo di Venezia. Ma anche di Marghera e Mestre.

 Adesso abbiamo di nuovo il referendum. 

Io ho sempre votato no. Questa volta voto sì.

Voto perché voglio avere ancora una speranza

Stefano, nato a Venezia lavora a Mestre e ama Marghera

 

#Referendum primo dicembre: lettera ai veneziani

Lettera ai veneziani, ai muranesi, ai buranelli e a tutti i residenti della Venezia insulare

Fino a poco tempo fa abitare a Venezia era forse scomodo, ma meraviglioso: una città a misura d’uomo, senza traffico, poco inquinamento e un’incredibile sicurezza sociale, anche la notte, perché tutti si conoscevano e vi era un capillare controllo di vicinato. Una città in cui i bambini giocavano in strada e gli adulti, incontrandosi, facevano a gara nell’offrirsi un caffè o uno spritz.
C’era chi fino a poco tempo fa definiva un privilegio poter abitare a Venezia.

Oggi però quella Venezia, che tanti anni fa ho scelto per me e i miei figli, è quasi irriconoscibile, sta scomparendo soffocata dal turismo che, oltre a invadere le calli, ha sostituito negozi di vicinato e artigiani con venditori di cianfrusaglie e fast food.

Ma c’è un’altra conseguenza, che forse non è così evidente a chi non vive in città: negli abitanti residui sta sorgendo un senso di impotenza, di frustrazione e di mancanza di speranza nel futuro.

Per capire questi sentimenti è il caso di ricordare quanto hanno detto alcuni sindaci veneziani: un sindaco filosofo ha detto: “Il futuro di Venezia è a Mestre”; un suo predecessore, rettore universitario: “Venezia non si sta svuotando, si sta allargando”; quello attuale infine: “Non vi sta bene il turismo? Andate in terraferma”.

Non è stupefacente che non uno, ma più sindaci si permettano in sostanza di suggerire ai propri concittadini – che sono anche elettori – di andarsene?

È proprio questo il problema: se nessun altro sindaco al mondo si sognerebbe di dire una cosa del genere, a Venezia si può.
Si può perché non è penalizzante, in quanto gli abitanti della Venezia storica sono la metà di quelli della terraferma, e la loro forza elettorale, trascurabile, non permette loro di esprimere i propri amministratori, né di condizionarne il comportamento.

Pertanto gli ultimi abitanti della Venezia storica possono essere impunemente trattati come delle fastidiose presenze senza diritto di lamentela, la cui esistenza impedisce il completo e capillare sfruttamento turistico della “città più bella del mondo”.

Da ciò discende una frustrazione che vede nell’autonomia amministrativa, rappresentata dalla vittoria del SÌ nel prossimo referendum, la speranza di riappropriarsi del valore del proprio voto e della propria città.

Certo non sarà sufficiente, sarà solo il punto di partenza, perché l’autonomia da sola non genera buoni amministratori.
Ma almeno garantirà che saranno scelti da una comunità cui questi dovranno rendere conto, e permetterà di sostituirli alle elezioni successive
se non dovessero dimostrarsi all’altezza del compito.
Esattamente come avviene in qualunque città del mondo, dove un Sindaco non si sognerebbe mai di dire “se non ti sta bene, vai via”, ma dove invece, se è il Sindaco che non va bene, è LUI che deve andarsene.

Stefano Croce

(foto: Marco Gasparinetti)

 

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