Gruppo 25 aprile

Piattaforma civica (e apartitica) per Venezia e la sua laguna

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Referendum primo dicembre: il nostro “registro di voto” e i prossimi appuntamenti

I) Il “registro di voto”

Il nostro gruppo ha una tradizione consolidata, che ci rende diversi da altri: quella del voto interno, palese e nominativo, quando siamo davanti ad un bivio. Non è una prerogativa del “direttivo” come si usa fare altrove, ma un diritto di tutti gli iscritti. Il voto si esprime in prima battuta sulla piattaforma facebook; ai molti iscritti al “blog” che non la usano chiediamo invece di farlo inviando una email a: 25aprileVenezia@gmail.com

Il “voto” nominativo all’interno del gruppo ha i suoi inconvenienti (chi lavora nel pubblico impiego ad esempio può essere portato a non esprimersi su facebook, ma potrà farlo via email con richiesta di riservatezza, che verrà rispettata). In cambio ci permette di evitare ogni sospetto di manipolazione esterna e serve ad esprimere l’orientamento del gruppo in quanto tale, fermo restando che nel segreto dell’urna (referendum o elezioni comunali che siano) il voto è individuale, libero e segreto.

L’orientamento messo ai voti nel gruppo vincola i portavoce, e soltanto loro: come gruppo coltiviamo il pluralismo interno e le “dissenting opinions” hanno pieno diritto di cittadinanza, su questo come su altri temi. L’importanza di questo referendum del primo dicembre è tuttavia tale che abbiamo deciso di rendere pubblico l’orientamento emerso, insieme a qualche considerazione di ordine generale.

Allo stato attuale, con sindaco e Forza Italia che predicano l’astensionismo per far fallire il referendum, e La Lega che sembra orientata a lasciare “libertà di voto” (cosa ben diversa dall’astensionismo), le forze politiche che si sono pronunciate con una dichiarazione di voto sono: Movimento 5 stelle e Fratelli d’Italia, a favore del SI, mentre la direzione comunale del PD ha adottato un documento con cui si schiera in favore del NO. A favore del SI si sono espressi Italia Nostra (sezione di Venezia) insieme a molti comitati e associazioni, nonché il segretario della Confartigianato di Venezia; sul fronte del NO troviamo quello dell’Associazione Veneziana Albergatori.

La nostra piattaforma facebook ha quindi messo ai voti il seguente quesito: “La direzione comunale del PD ha deciso di schierarsi per il NO. Nel documento vengono citati i “100 tavoli” organizzati con la sua base e la società civile. Noi cosa ne pensiamo?

Le risposte possibili erano quattro, hanno votato 401 “aventi diritto” con questo risultato:

  1. “Avrebbero fatto meglio a lasciare libertà di voto”: 293 voti.
  2. “Cento tavoli? Quando? Dove? Mai sentiti nominare”: 74 voti.
  3. “Hanno fatto bene, il PD è sempre stato per il NO”: 20 voti.
  4. “Un invito a votare NO è comunque meglio di un invito all’astensionismo”: 14 voti

 

II) i “faccia a faccia” in Bragora (scoletta di san Giovanni in Bragora, Castello)

Una piattaforma civica che pratica la democrazia diretta al suo interno, e che nel suo atto costitutivo ha la richiesta di statuto speciale per Venezia e la sua Laguna, non può accodarsi a chi predica o incoraggia l’astensionismo, mortificando l’unico strumento di democrazia diretta presente nell’ordinamento giuridico italiano.

Daremo il nostro contributo al dibattito e lo faremo dando spazio alle ragioni del SI  (maggioritarie all’interno del gruppo) cosí come a quelle del NO, nei “faccia a faccia” che stiamo organizzando per il mese di novembre. Segnatevi fin d’ora queste due date: i comizi per il SI e per il NO saranno numerosi, meno frequenti saranno le occasioni di mettere a confronto le ragioni del SI e quelle del NO, su un piano di parità.

Il 9 novembre alle 16.30, “derby” Mestre-Marghera: per il SI, Vincenzo Conte Presidente della Municipalità di Mestre, e per il NO Gianfranco Bettin, Presidente della Municipalità di Marghera. Moderatore: Marco Gasparinetti, portavoce del G25A.

https://www.facebook.com/events/547974719270321/

Il 17 novembre alle 16, “derby” veneziano: Giorgio Dodi, segretario comunale del PD, e Marco Sitran, primo firmatario del progetto di legge referendario e coautore del ricorso al Consiglio di Stato che ha rovesciato la sentenza del TAR (la “bocciatura” iniziale su ricorso del sindaco che aveva cercato di impedire il referendum, e in questo modo è riuscito a ritardarlo di un anno). Moderatore: il giornalista Michele Fullin!

https://www.facebook.com/events/532493990885013/

Abbiamo scherzosamente usato il termine “derby” perché siamo fermamente convinti dell’importanza di questo referendum, e delle sue ricadute positive per la democrazia cittadina se soltanto saremo capaci di non trasformarlo in una sorta di guerra civile, dato che a partire dal giorno dopo dovremo comunque lavorare anche con chi non la pensa come noi, per gestire la “separazione dei beni” o per governare quella grande nave che è il Comune unico, limitando i danni per la sua componente più fragile che a nostro parere è quella lagunare: fragile anche perché minoritaria sul piano dei numeri (80 mila scarsi sui 260 mila residenti nel Comune attuale) e quindi condannata a subire maggioranze che si formano altrove. Lo si è visto anche all’interno del PD, con i circoli di Venezia e isole in maggioranza orientati per il SI (5 su 8) e messi in minoranza da quelli di terraferma. Le elezioni comunali del 2020, al ritmo attuale di spopolamento, non faranno altro che aggravare questa situazione se saremo nuovamente chiamati a votare all’interno di un unico Comune.

Sulle ricadute del referendum abbiamo già pubblicato questa nota di analisi – per riassumere cosa “non cambia” e sdrammatizzare i toni apocalittici di chi vorrebbe far fallire il referendum con la paura del salto nel vuoto – e ne stiamo preparando una seconda, più dettagliata, per illustrare invece cosa potrebbe cambiare con due amministrazioni comunali distinte e “dedicate”:

#Referendum: cosa cambierebbe e cosa NON cambierebbe

 

 

 

 

 

 

#Referendum: cosa cambierebbe e cosa NON cambierebbe

A quanto pare voteremo entro Natale, e i dubbi abbondano come è normale che sia, soprattutto quando ad alimentarli è chi punta tutto sull’astensionismo: perché se i dubbi sono tanti e non verranno dissipati in tempo utile, saranno in molti a “starsene a casa” delegando ad altri la scelta.

A chiunque voglia invece fare campagna per il SI o per il NO, o anche solo formarsi il suo personale convincimento prima di recarsi alle urne, spetta il compito più faticoso: che è quello di soppesare i vantaggi e gli svantaggi, rispondere a dubbi e domande, approfondire i singoli aspetti, anche rivolgendosi alle istituzioni competenti quando la risposta richiede informazioni che non sono di pubblico dominio; è quello che faremo nelle prossime settimane, come piattaforma civica al servizio dei cittadini.

Primo dubbio, sembra banale ma per alcuni non lo è: quale sarebbe il confine amministrativo fra i due Comuni? Per rispondere riproponiamo l’immagine già pubblicata dalla stampa locale in data 13 Agosto 2018, semplice elaborazione di quella allegata al quesito referendario, che il Consiglio di Stato ha giudicato legittimo e sufficientemente chiaro:

 

Per poterci concentrare su ciò che cambierebbe (nel bene e nel male) in caso di vittoria del SI, occorre prima sgombrare il campo da una serie di equivoci e chiarire cosa invece non dipende – o dipende solo in minima parte – dall’esito del referendum. Questo anche per non alimentare attese messianiche di palingenesi o – al contrario – attacchi di panico collettivo come se l’una o l’altra scelta potessero scatenare le sette piaghe d’Egitto.

Ne indichiamo qui una lista, partendo dalle voci per cui la risposta è già chiara – a nostro modo di vedere almeno. La lista non è esaustiva ma da qualche parte occorre pur iniziare. Per facilitarne sia la consultazione sia  gli aggiornamenti successivi, abbiamo seguito l’ordine più semplice: quello alfabetico.

Cos’è che NON cambierà, qualunque sia il numero di Comuni in cui si articola la Città Metropolitana di Venezia – che già ne conta 44?

AEROPORTO: il Marco Polo è il terzo aeroporto italiano e non prende ordini da nessun sindaco, né più né meno di quelli di Milano – che si trova nel territorio del Comune di Varese (aeroporto “Malpensa”) e di Roma, dato che anche il primo aeroporto italiano è a sua volta situato in altro Comune: quello di Fiumicino. Il suo gestore è una società per azioni (SAVE) di cui la Regione (con Galan), il Comune (con Orsoni) e la Città Metropolitana (con Brugnaro) hanno progressivamente venduto i loro pacchetti azionari privandosi – e privandoci – di ogni possibile leva contrattuale in sede di CdA (Consiglio di Amministrazione). Gli organi di vigilanza sono nazionali (ENAC, ENAV) e anche le tariffe aeroportuali vengono decise a livello nazionale. Quelle dei parcheggi li decide la SAVE stessa, come ben sappiamo – e come ben sanno i giuristi, il “sedime aeroportuale” è area demaniale statale. Lo strumento di programmazione urbanistica è il suo “masterplan”, che è soggetto a VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) nazionale e non regionale, come per tutte le infrastrutture di rilevanza strategica. Per chi volesse approfondire il regime di gestione: https://www.enac.gov.it/aeroporti/gestioni-aeroportuali-regolazione-tariffaria/tipologia-canoni-delle-gestioni-aeroportuali/tipologia-di-gestioni

LAGUNA e LEGGE SPECIALE: le competenze in questo caso sono nazionali e regionali, per non parlare dei vincoli e degli obblighi assunti in sede UE e internazionale ai fini della sua tutela. Il sito UNESCO “Venezia e la sua Laguna” già ricomprende più Comuni e l’eventuale creazione di un Comune di Mestre cambia poco dato che l’unità amministrativa della Laguna era già stata incrinata dall’istituzione del Comune di Cavallino Treporti, che si aggiunge a quelli di Mira e di Chioggia. Per far fronte alla frammentazione e alla sovrapposizione di competenze tra Enti territoriali, la seconda legge speciale per Venezia (L. 20 novembre 1984, n. 798) ha creato il cosiddetto “Comitatone”, composto dai rappresentanti di tutti i vari enti coinvolti, ed è al Comitatone che sono state rimesse scelte cruciali come il MOSE (v. infra) e la soluzione al problema delle grandi navi. Il Comune di Venezia già ne fa parte, se i Comuni saranno due avranno due voti a disposizione anziché uno, e il Comune di Venezia magari avrà il coraggio che finora è mancato al Comune unico di Venezia-Mestre, costretto a continui compromessi e mediazioni interne sulla questione delle navi da crociera.

MOSE (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico): come tutte le grandi opere strategiche, la sua realizzazione è di competenza statale mentre è sulla futura gestione che le scelte sono ancora tutte da fare – tenendo ben presente il problema dei costi di manutenzione già stimati in quasi 100 milioni di euro all’anno. Per il MOSE valgono le considerazioni sopra svolte a proposito delle navi da crociera, alla voce “Laguna e Legge speciale”.

MUSEI CIVICI COMUNALI: allo stato attuale sono undici e sono tutti situati nella Venezia insulare. In caso di separazione dei beni resterebbero quindi a Venezia con la fondazione che li gestisce: https://www.visitmuve.it/

OSPEDALE: gli ospedali civili (pubblici) sono già “allineati” all’assetto amministrativo preconizzato dal referendum: uno a Venezia, l’altro a Mestre. In passato erano di più e – se la memoria non ci inganna – tutte le chiusure hanno riguardato la parte insulare del Comune unico (Lido compreso). Entrambi gli ospedali fanno capo alla Ulss 3 detta “Serenissima” il cui ambito territoriale è molto più ampio e ricomprende anche altri Comuni come Chioggia e Mirano. La gestione manageriale continuerà a fare capo – come già adesso – ad un unico Direttore Generale: il dr. Giuseppe Dal Ben, mentre la Regione ha competenza esclusiva sia per le nomine che per le scelte politiche e il loro finanziamento, che è a carico del bilancio regionale: Piano Socio Sanitario Regionale e schede di dotazione, che determinano l’allocazione di risorse alle singole strutture. Anche in questo caso, sono scelte che non dipendono dall’assetto territoriale dell’ente comunale ma dal bacino di utenza e da altre variabili che nulla hanno a vedere con il referendum. Dal punto di vista operativo, invece, la Ulss 3 si è già articolata in distretti come verificabile sulla sua pagina Internet: https://www.aulss3.veneto.it/

PARTECIPATE: c’erano una volta le “municipalizzate”, da anni ormai sono diventate società per azioni “partecipate” da uno o più Comuni. Vale per VERITAS e anche per ACTV e Ve.La., con lo schermo societario della holding AVM. Unica differenza: mentre VERITAS è partecipata da decine di Comuni grandi e piccoli, AVM è controllata al 100% dall’attuale Comune di Venezia. In caso di scissione andrà ovviamente stabilito come suddividere le quote azionarie fra i due Comuni, e questo avrà riflessi sulla composizione dei CdA (Consigli di Amministrazione) rispettivi, ma le SpA continueranno ad operare come adesso e a fornire i relativi servizi. Le tariffe di quello idrico integrato resteranno invariate, per il resto si veda alle voci: “TARI” (per i rifiuti) e “Trasporti”.

PORTO: come tutte le infrastrutture strategiche è competenza nazionale e non locale o ragionale, come ben sa chi in questi anni ha inutilmente cercato di estromettere le grandi navi da crociera o anche soltanto a fargli cambiare rotta. Il porto ha un suo piano regolatore, il Ministero “di tutela” è quello delle Infrastrutture e Trasporti, la sua gestione è affidata alla “Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale” attualmente presieduta da Pino Musolino e il presidente è nominato dal Ministro, non dal sindaco. Che i Comuni siano uno o due non cambia nulla: sulla rotta del canale dei petroli ad esempio c’è già un terzo incomodo ed è il Comune di Mira, che non a caso partecipa alle sedute del Comitatone insieme ad altri della “gronda lagunare”. Per chi ne dubitasse, la fonte normativa è il Codice civile art. 822: “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale”. Per completare il quadro, tutti i canali in cui passano grandi navi (traffico merci e passeggeri) sono già stati sottratti alla competenza comunale e artificialmente incorporati nel “demanio marittimo”; non a caso, la competenza su quei canali è della capitaneria di Porto e non della Polizia Municipale.

PROVVEDITORE (ex Magistrato alle acque di Venezia detto anche “MAV”): anche in questo caso, che i Comuni siano uno o due non cambia nulla, anche perché il Provveditore ha competenza su tutta la Laguna ad eccezione dei rii interni (competenza comunale) e dei canali incorporati nel demanio marittimo (v. supra alla voce “Porto”), quindi ha già ora giurisdizione sovracomunale (si pensi ai Comuni di Chioggia e Cavallino Treporti). Il “Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia” ha sede nello storico Palazzo dei X Savii, ai piedi del ponte di Rialto, e  svolge un ruolo molto importante anche in sede di Comitatone, del quale assicura le funzioni di segretariato occupandosi di ordini del giorno e convocazioni. Quanto detto a proposito del Provveditore vale, a maggior ragione, per il “Comitatone” che fra i vari compiti ha quello di ripartire i fondi della Legge Speciale fra tutti i Comuni della gronda lagunare.

SCUOLE: ad eccezione di quelle materne e dell’infanzia (asili comunali) ed elementari, la competenza per l’edilizia scolastica è della Città metropolitana che si prende cura della loro manutenzione, e statale per quel che riguarda il corpo insegnante. Per le scuole medie e superiori quindi non cambierà nulla. Nelle scuole materne e dell’infanzia, il personale docente e non docente è retribuito dal Comune. Gli unici cambiamenti per genitori e alunni riguarderanno quindi le tariffe di scuole materne ed asili, che in due Comuni diversi potrebbero effettivamente differenziarsi in funzione dei bilanci e delle scelte politiche rispettive.

TARI: è forse la voce che – fra quelle qui elencate – merita un approfondimento più ampio, perché è proprio in materia di tassa sui rifiuti che l’esito del referendum potrebbe avere conseguenze dirette e potenzialmente molto interessanti – ma per poterne parlare seriamente occorre ricollegarlo alla voce “IMPOSTA DI SOGGIORNO” essendo già stato ampiamente chiarito (dall’assessore in carica) che il gettito della seconda può essere utilizzato per ridurre le aliquote della prima, in favore dei residenti, e il gettito dell’imposta di soggiorno non è omogeneo all’interno del Comune unico attuale. A questo tema verrà quindi dedicata la nostra prima scheda “tematica”, nei prossimi giorni, sfruttando anche i dati aggiornati sulla ripartizione territoriale dei PLUT (Posti Letto ad Uso turistico) che abbiamo appena presentato nel corso dell’ultimo incontro in Bragora, venerdì scorso.

TRASPORTI LOCALI: c’era una volta la “Carta Venezia” che era tendenzialmente riservata ai residenti. A seguito dei rilievi della Commissione UE che la riteneva discriminatoria, è stata sostituita dalla “Venezia Unica” che può essere acquistata da chiunque ne faccia richiesta – tanto è vero che la sua pagina internet esiste in 6 lingue diverse compreso il russo – e ha validità per 5 anni. Per chi è titolare della “VeneziaUnica”, che i Comuni siano uno o due non dovrebbe fare differenza alcuna. Per quel che riguarda gli abbonamenti mensili ACTV, facciamo notare che già oggi all’interno del Comune unico è possibile optare per un abbonamento a tariffa ridotta per chi non fa uso dei mezzi di trasporto su gomma (è l’abbonamento “isole”) e nulla vieta di pensare che in futuro possano essere offerti abbonamenti a tarifa ridotta per chi non attraversa il ponte in senso “inverso” e quindi non ha bisogno – se non saltuariamente – dei mezzi di trasporto acqueo. Alilaguna pratica a sua volta tariffe differenziate e agevolate per i possessori della “VeneziaUnica” e le applica a prescindere dal Comune di residenza.

TRASPORTI regionali e interregionali: nulla cambierà a seconda dell’esito del referendum, quanto alla mobilità intercomunale è competenza della Città Metropolitana che dalla ex Provincia di Venezia ha ereditato anche tutte le competenze in materia ambientale. Stesso discorso vale per la tanto annunciata TASSA DI SBARCO o contributo di accesso, dato che la delibera già prevede un’esenzione totale per tutti i residenti nella Regione Veneto – e chi vive a Mestre non la pagherà comunque.

UNIVERSITA’: statali o private che siano, un eventuale cambiamento di assetti comunali per loro non cambia assolutamente nulla e altrettanto può dirsi per il Conservatorio Benedetto Marcello, per l’Accademia di Belle Arti e per altre eccellenze veneziane che continueranno la loro meritoria opera quale che sia l’assetto amministrativo dell’ente locale di prossimità (Comune).

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NB Pagina in costruzione, a cura di Marco Gasparinetti. Commenti e suggerimenti possono essere pubblicati qui o inviati via posta elettronica a: 25aprileVenezia@gmail.com

L’autore del testo ha maturato un’esperienza di 27 anni all’interno delle pubbliche amministrazioni (a Roma e a Bruxelles) e risponde in prima persona di ogni eventuale refuso o errore involontario: chi ne dovesse trovare potrà segnalarli con le modalità sopra indicate, e riceverà pronto riscontro.

 

 

#Referendum: il vaso di Pandora

Per delegittimare uno strumento di democrazia diretta come il referendum, dopo aver cercato in molti modi di bloccarlo ed essere per questo stato bacchettato dal Consiglio di Stato, il sindaco in carica ha avuto un’idea geniale: l’appello a non votare, diffuso sulla pagina istituzionale del Comune – e già su questo ci sarebbe da ridire.

Il suo calcolo politico è semplice: sommare le astensioni ai NO, intestandosi anche le prime. All’astensione dal voto viene attribuito (testuali parole sue) un “forte valore civico“, quindi seguiremo alla lettera il suo ragionamento.

Alle elezioni comunali del 2015, per ogni elettore che ha votato Brugnaro ce ne sono stati tre (contando gli astenuti come da suo suggerimento) che lo hanno ritenuto inadeguato a fare il sindaco. Sempre seguendo il suo ragionamento basato sul “valore civico” dell’astensionismo, la maggioranza degli elettori ha ritenuto inadeguati entrambi i candidati al ballottaggio, che in qualche modo è una sorta di referendum – essendo due e soltanto due le opzioni di voto.

Dato che uno scenario simile potrebbe riprodursi anche nel 2020, ci chiediamo se il sindaco si renda conto che il suo ragionamento gli si ritorcerà contro. Il perché è presto detto: le elezioni comunali del 2020, per le caratteristiche del sindaco in carica e la sua ferma determinazione a conservare quella carica con un secondo mandato, saranno un referendum sulla sua riconferma.

Se i suoi avversari calcoleranno gli astenuti nel conto dei “NO” alla riconferma, dovremo trarne la conclusione che non è più legittimato a governare? Guardando al risultato del 2015, dovremmo chiedergli di restituire le chiavi dato che tre aventi diritto su quattro non l’hanno votato?

Chi apre il vaso di Pandora ne valuti le conseguenze: da parte nostra riconosciamo la legittimità del sindaco eletto anche quando (come nel 2015) gli astensionisti diventano il primo partito, ma seguendo la sua logica dovremmo cambiare approccio e “intestarci” la rappresentanza dei 3 elettori su 4 che non lo hanno voluto come sindaco – cosa che ovviamente non faremo.

La democrazia è una creatura bella ma fragile, trae linfa vitale dalla partecipazione di tutti. A nostro parere, l’appello all’astensionismo non fa onore al sindaco e non lo rafforza ma lo indebolisce, in vista delle prossime elezioni comunali. Chi apre il vaso di Pandora sia almeno consapevole di ciò che rischia di uscirne.

Vaso-di-Pandora

 

TAR Veneto: una sentenza che non convince

Il TAR decide sul referendum: Questa separazione non s’ha da fare!

di Giacomo Menegus*

Lo scorso 14 agosto è stata pubblicata l’attesa sentenza del TAR Veneto sui ricorsi promossi da Comune e Città metropolitana avverso il referendum per la separazione tra Mestre e Venezia. La decisione, che boccia la consultazione, aderendo pressoché in toto alle censure mosse dai ricorrenti, suscita più di qualche perplessità, visti gli argomenti quantomeno discutibili impiegati dal giudice amministrativo in motivazione.

Riducendo al nocciolo la questione oggetto del contendere, si può dire che il giudice amministrativo fosse chiamato a decidere se – per dividere il territorio comunale in due distinti comuni – fosse legittimo il procedimento descritto dalla legge regionale n. 25 del 1992, seguito in questo caso da Regione e promotori della consultazione; oppure se fosse necessario percorrere il diverso e più articolato procedimento indicato dalla legge Delrio (art. 1, comma 22), come sostenevano Comune e Città Metropolitana.

Per comprendere appieno i termini della questione – a dire il vero non semplici – è necessario fare qualche passo indietro: prima dell’istituzione delle Città metropolitane, la competenza per l’istituzione di nuovi Comuni spettava senza dubbio alle Regioni. Lo stabiliva (e lo stabilisce tuttora) con chiarezza una disposizione della Costituzione, l’art. 133, comma 2, Cost., che recita: «La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni». Per quanto riguarda il Veneto, la legge regionale di riferimento – che detta il procedimento per l’istituzione di nuovi comuni – è la n. 25 del 1992 (con successive modificazioni).

Nel 2014, a distanza di diversi anni dalla loro previsione in Costituzione (realizzata con la riforma del 2001) venivano finalmente istituite le Città Metropolitane con la cosiddetta legge “Delrio” (l. n. 56 del 2014).

Al vertice dell’organizzazione di tali enti si colloca il Sindaco metropolitano che “di diritto” (cioè automaticamente) è il Sindaco del Comune capoluogo metropolitano. Il Sindaco metropolitano non è quindi eletto da tutti i cittadini della città metropolitana (che nel nostro caso corrisponde all’ex-Provincia di Venezia), ma dai soli cittadini del capoluogo (Comune di Venezia).

La legge lascia comunque aperta la possibilità che, nello Statuto metropolitano, si decida diversamente, consentendo a tutti i cittadini metropolitani (compresi quelli residenti fuori dal capoluogo) di eleggere direttamente il Sindaco e il Consiglio metropolitano.

Per far ciò però la stessa legge richiede che il Comune capoluogo sia prima scorporato in più Comuni, secondo l’articolato procedimento descritto all’art. 1, comma 22, della legge.

Il senso della norma è chiaro: si vuole evitare la compresenza, sullo stesso territorio, di due figure politicamente forti, quali sarebbero il Sindaco metropolitano (forte dell’investitura elettorale dell’intera città metropolitana) e il Sindaco del capoluogo (posto alla guida del centro più importante della Città metropolitana). Il legislatore temeva l’insorgere di conflitti tra Sindaco metropolitano e Sindaco del capoluogo che – specie se i due Sindaci fossero stati espressione di diversi e contrapposti movimenti politici – avrebbero potuto condannare la neonata Città metropolitana all’inefficienza e alla paralisi. Per questo la legge dispone che, qualora si opti per l’elezione diretta del Sindaco metropolitano, si depotenzi al tempo stesso il Sindaco del capoluogo, provvedendo preventivamente a suddividere il capoluogo in comuni più piccoli, con un peso politico meno rilevante.

La previsione di un procedimento di scorporo del capoluogo collegato all’elezione diretta del Sindaco metropolitano ha generato tuttavia confusione e perplessità: quale procedimento applicare nel caso in cui si voglia dividere il comune capoluogo, senza che tale divisione abbia nulla a che fare con l’elezione diretta del Sindaco metropolitano? Insomma, in un caso come quello del Comune di Venezia, nel quale non interessa affatto introdurre l’elezione diretta del Sindaco metropolitano, ma si vuole semplicemente far nascere due distinti comuni, quale procedimento va seguito?

Tale quesito, cui si sarebbe dovuto rispondere senza troppi patemi seguendo semplicemente il dettato costituzionale, ha invece visto affermarsi l’idea che il procedimento indicato dalla legge Delrio fosse divenuto l’unico procedimento applicabile per la divisione in più Comuni del capoluogo metropolitano. Ed è questa la tesi sposata dal TAR Veneto.

Fatta questa breve premessa, si può procedere con l’esame delle motivazioni della sentenza.

Per chi volesse leggere direttamente il testo della sentenza (pubblicata sul sito http://www.giustizia-amministrativa.it), la sezione che interessa è quella in “Diritto”: di questa, una prima parte è tutta dedicata all’esame delle questioni processuali. L’esame del merito inizia con la lettera A2) e prosegue fino alla fine del provvedimento.

Gli argomenti impiegati dal giudice amministrativo possono essere distinti in due gruppi: da una parte, quelli connessi alla supposta incompatibilità della procedura seguita da promotori e Regione (punti A2, B2 e C2); dall’altra, quello attinente alla formulazione del quesito referendario (D2).

Cominciamo dai primi.

L’argomento centrale impiegato dal TAR è il seguente: la legge Delrio impone – qualora non siano eletti direttamente il Sindaco e il Consiglio metropolitano – che il capoluogo della Città metropolitana sia (e permanga) il Comune più popoloso della stessa (punto A2). Il referendum porterebbe invece il capoluogo – che rimarrebbe il Comune di Venezia, ridotto alla sola parte lagunare – ad avere una popolazione considerevolmente inferiore al neonato Comune di Mestre e pertanto non sarebbe ammissibile.

Che il capoluogo della Città metropolitana debba essere anche il Comune più popoloso lo si dovrebbe indurre – dato che non è espressamente previsto dalla legge – da due disposizioni della legge Delrio (art. 1, commi 19 e 21): la prima individua nel Sindaco del capoluogo il Sindaco metropolitano di diritto; la seconda impone il rinnovo del Consiglio metropolitano qualora sia rinnovato il Consiglio del Comune capoluogo.

Secondo il TAR queste disposizioni sarebbero prive di senso se il capoluogo non fosse anche il Comune più popoloso: il Sindaco del capoluogo è sindaco metropolitano di diritto «per l’evidente ragione che esso è il Sindaco più rappresentativo, rappresentando il Comune con il maggior numero di abitanti tra i Comuni della Città metropolitana»; il Consiglio metropolitano si rinnova nel momento in cui è rinnovato il Consiglio del Comune capoluogo perché «il Comune capoluogo esprime, rispetto agli altri Comuni della Città metropolitana, il corpo elettorale più numeroso». Tale “equilibrio” sarebbe «espressione del principio di rappresentanza democratica, quindi, in definitiva, dello stesso principio democratico che permea il nostro ordinamento sin dall’art. 1 della Costituzione, cosicché la sua alterazione o compromissione, lungi dal rappresentare una questione di mera opportunità, vulnera alla radice la stessa conformità alla Costituzione del nuovo Ente: quest’ultimo diventerebbe una sorta di “scheggia impazzita”, di elemento dissonante, nell’ambito del nostro ordinamento costituzionale, non rispondendo più a basilari regole di rappresentanza democratica».

Il ragionamento del giudice amministrativo è sorprendente.

Il Comune capoluogo dev’essere il Comune più popoloso perché solo così si garantisce la rappresentatività del Sindaco metropolitano e la ragionevolezza del contestuale rinnovo del Consiglio del capoluogo e di quello metropolitano.

È una strana declinazione del principio di rappresentanza democratica, direi inedita.

Sarebbe interessante capire quale genere di rappresentatività democratica garantirebbe il Sindaco del Comune capoluogo rispetto a tutti i cittadini metropolitani che vivono al di fuori del Capoluogo e che pertanto non partecipano alla sua elezione (né diretta né indiretta), tanto nel caso in cui il Capoluogo sia il Comune più popoloso, tanto che non lo sia. Quale rappresentatività garantirebbe rispetto ad un cittadino di Mira, di Portogruaro, di Jesolo, di Chioggia? Il fatto è che semplicemente il Sindaco metropolitano “di diritto” non è rappresentativo di tali cittadini, né se il Comune capoluogo rimane il più popoloso né se vede considerevolmente ridotta la propria popolazione.

Che il ragionamento del TAR Veneto non sia irreprensibile sotto il profilo logico, prima ancora che giuridico, lo si intuisce anche da alcuni passi della motivazione posti “a supporto” della tesi sostenuta: si dice, ad un certo punto, che il Sindaco metropolitano – in esito alla divisione del Comune voluta dai fautori del referendum – «non avrebbe più quasi nessun legame di rappresentanza territoriale con il Consiglio, perché circa il 90% dei Consiglieri Metropolitani sarebbe espressione di un territorio diverso da quello di cui è espressione il Sindaco».

Allo stato attuale invece, con appena 6 Consiglieri “veneziani” su 18, il Sindaco garantisce una maggiore rappresentatività? Di quale percentuale della popolazione metropolitana dovrebbe essere espressione il Sindaco metropolitano per assicurare questa rappresentatività del “Comune più popoloso”? Almeno il 20%, il 30% o più? Perché, allo stato attuale, ci sono Sindaci metropolitani che rappresentano poco più del 20% della popolazione (Firenze, Bari), altri più del 30% (Reggio Calabria circa 32%, Bologna 38%), altri ancora addirittura il 68% (Genova). O è sufficiente che il Sindaco metropolitano sia semplicemente il Sindaco del Comune capoluogo=Comune più popoloso per garantire la rappresentatività democratica dell’organo, a prescindere dalla porzione di popolazione metropolitana effettivamente rappresentata?

È evidente che qualcosa non torna.

Il punto è che il Legislatore non ha individuato il Sindaco metropolitano nel Sindaco del Comune capoluogo per rispondere ad esigenze di rappresentatività democratica. Anzi un certo deficit democratico rappresenta uno dei tratti caratterizzanti della Città metropolitana, per come disciplinata dalla legge Delrio. A conferma di ciò, basti ricordare che uno dei punti più aspramente criticati in dottrina della Legge Delrio è stata proprio la mancata previsione di elezioni dirette del Sindaco e del Consiglio e che il tema è stato pure oggetto di ricorso dinanzi alla Corte costituzionale (poi respinto, ma con motivazioni criticatissime persino dai fautori della costituzionalità della legge).

Il Sindaco del Comune capoluogo è Sindaco metropolitano di diritto in ragione del ruolo particolare e dell’importanza del Comune capoluogo intorno a cui si aggrega la Città metropolitana, non per questioni rappresentative.

Si può discutere se il Comune di Venezia – ristretto alle sole isole della Laguna – manterrebbe la propria centralità nella Città metropolitana o la perderebbe a favore di Mestre.

Resta comunque il fatto che l’argomento della necessaria corrispondenza tra Comune capoluogo e Comune più popoloso in funzione di una maggiore rappresentatività democratica degli organi della Città metropolitana – argomento su cui si basa l’impianto motivazionale della sentenza – non ha alcun serio fondamento.

La pronuncia del TAR Veneto si segnala però per un’ulteriore criticità: cercando di salvare una supposta razionalità dell’organizzazione della Città metropolitana tracciata nella Legge Delrio, finisce per disattendere il dettato costituzionale ed opera un inammissibile rovesciamento della gerarchia delle fonti del diritto, facendo sostanzialmente prevalere una legge ordinaria – peraltro secondo un’interpretazione della stessa piuttosto discutibile – sulla Costituzione. La Carta parla chiaro infatti: «La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni» (art. 133, comma 2, Cost.). Si tratta di una norma attributiva di competenza, competenza consegnata in toto alle Regioni.

La Legge Delrio (legge dello Stato) non può disciplinare l’istituzione di nuovi comuni, per il semplice motivo che lo Stato non è competente sul tema. Bisogna pur ricordare che la disciplina adottata con la legge Delrio in tema di Città metropolitane trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 117, comma 2, lett. p), che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; mentre la competenza regionale in materia di variazioni territoriali dei comuni continua a persistere in capo alle Regioni in virtù dell’art. 133, comma 2, Cost.

Già il fatto che la legge Delrio abbia previsto una diversa (e necessaria) procedura di scorporo del Comune capoluogo funzionale alla diretta elezione del sindaco metropolitano (art. 1, comma 22) solleva più di qualche dubbio di legittimità costituzionale; se tale previsione ha passato indenne il vaglio della Corte costituzionale (Corte cost. n. 50 del 2015), dinanzi alla quale era stata impugnata, lo si deve probabilmente anche al fatto che lo scorporo è funzionale all’elezione diretta del Sindaco metropolitano (e si può perciò far rientrare, seppur a fatica, nella legislazione elettorale) e che il procedimento previsto dalla legge Delrio – a ben vedere – solo a tale ipotesi andrebbe applicata, ferme restando per tutti gli altri casi competenza e procedure regionali.

Il giudice amministrativo sembra invece svalutare il dettato costituzionale e il conseguente obbligo di interpretare le disposizioni della Delrio in conformità con la Costituzione (e non viceversa). L’unica procedura ammissibile per i Comuni capoluogo di Città metropolitana è ritenuta essere quella tracciata dalla legge Delrio; che sarebbe addirittura rispettosa dell’art. 133, comma 2, Cost., dal momento che l’istituzione dei nuovi comuni derivanti dallo scorporo sarebbe da farsi con legge regionale (così prevede l’art. 1, comma 22).

Si tratta però di un ulteriore fraintendimento delle norme, dal momento che l’iniziativa per lo scorporo del Comune capoluogo secondo la legge Delrio spetta al medesimo Comune capoluogo. Il che equivale a dire che – pur concludendosi con una legge regionale – il procedimento non è nella disponibilità della Regione, diversamente da quanto è previsto dall’art. 133, comma 2, Cost. (oltre ad essere disciplinato, per i tratti più salienti, da una legge dello Stato).

Qualche parola merita infine l’affermazione per cui il quesito del referendum sarebbe stato privo dei necessari caratteri di chiarezza, semplicità, coerenza, completezza e univocità (punto D2), perché recitava: «È lei favorevole alla suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre, come da progetto di legge di iniziativa popolare n. 8?», senza determinare puntualmente quale parte del territorio comunale sarebbe andata a Mestre e quale a Venezia. Se è pur vero che con Mestre non si designa l’intera terraferma e con Venezia non si identifica l’intera area lagunare del Comune (un’indicazione delle località avrebbe forse meglio soddisfatto i predetti requisiti), è anche vero che il senso della consultazione era chiaro a chiunque e la bocciatura dell’iniziativa referendaria sotto questo profilo pecca di un formalismo eccessivo.

La sentenza svolge altre e ulteriori considerazioni: tra le altre, si ricordano quella per cui la suddivisione del Comune andrebbe ad incidere sulla competenza statale in materia di organi di governo della Città metropolitana (punto B2) e quella per cui la popolazione interessata al referendum sarebbe quella metropolitana e non solo quella del Comune di Venezia (C2). Si tratta però di argomentazioni che appaiono secondarie ai fini della decisione e comunque consequenziali rispetto alle premesse iniziali già trattate.

Col senno di poi, la scelta del Governo di ritirare il ricorso per conflitto di attribuzioni pendente davanti alla Corte costituzionale ha finito per rivelarsi controproducente per la causa referendaria: si voleva lasciare via libera al voto, ma si è sostanzialmente impedito alla Corte costituzionale di fare chiarezza sul punto. Non si può scommettere che la Corte si sarebbe espressa in modo diverso dal TAR, ma a Palazzo della Consulta si sarebbe probabilmente trovata maggiore sensibilità per i profili squisitamente costituzionalistici della questione, in rapporto ai quali il giudice amministrativo – si è visto – non ha mostrato grande dimestichezza.

Che fare ora?

Una via è già stata indicata dai soccombenti: ricorso al Consiglio di Stato con domanda di sospensiva. Visti gli inciampi in cui è incorso il giudice di primo grado, non è affatto improbabile che il ricorso sia accolto.

Altra strada – già caldeggiata – è quella della modifica legislativa della legge Delrio, che richiede tuttavia una solida (e consapevole) volontà politica per avere successo.

Sul punto occorre inoltre fare attenzione. Servono modifiche mirate, volte a rendere espresso il fatto che il procedimento di scorporo del Comune capoluogo previsto dalla legge Delrio si applica solo e limitatamente all’ipotesi di elezione diretta del Sindaco metropolitano; mentre la competenza e le procedure regionali permangono in tutti gli altri casi, anche se riguardano il Comune capoluogo.

Si tratterebbe di intervento fatto comunque nella consapevolezza che – prima o poi – sarà necessario rimettere mano all’impianto complessivo della legge, che finora ha offerto risultati piuttosto deludenti. Un intervento riformatore che magari si fondi – almeno stavolta – su una riflessione seria, approfondita e documentata circa il ruolo e le funzioni delle Città metropolitane, non inquinata da logiche di risparmio ad uso propagandistico e gretti localismi.

Mi sembra invece da evitare un intervento legislativo che vada a semplificare il procedimento previsto dalla Delrio: considerato che la materia, come si è visto, si colloca su un confine incerto tra competenza regionale in tema di istituzione di nuovi comuni e competenza statale in tema di legislazione elettorale delle Città metropolitane, mettervi mano significherebbe rischiare di riattivare il contenzioso tra Stato e Regioni dinanzi alla Corte costituzionale, con esiti alquanto incerti.

Insomma, le strade percorribili sono due, che non si escludono a vicenda: giudiziaria e legislativa; il tempo stringe tuttavia e se pure la consultazione – come auspicano i promotori del referendum – si dovesse tenere il 30 settembre, non vi sarebbe più spazio per un dibattito serio nel merito della separazione tra Venezia e Mestre, capace di andare al di là di semplici boutade propagandistiche.

Il tutto in danno di un voto consapevole e informato su una questione così importante per il futuro delle due città.

* (Dottore di ricerca in Diritto costituzionale, Università di Ferrara)

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